Studio Legale Associato
 Stanca Rossi Moreschini Valente
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Questa é la storia di Carmelo, (39 anni) danneggiato da vaccinazione, raccontata dalla sorella
(Scrivi a Sonia e Carmelo cliccando qui)

REGIONE TOSCANA
Ufficio del Difensore Civico
Convegno del 19/20 settembre 2003
" L'esperienza del Difensore Civico in Sanitá: i risultati e le prospettive di sviluppo nel contenzioso in materia di responsabilitá professionale e negli aspetti connessi con la tutela dei cittadini danneggiati da emotrasfusioni, vaccini, emoderivati ex L. 210/92 e successive modifiche."
La sottoscritta SONIA C, in qualitá di sorella di CARMELO, soggetto danneggiato da vaccino, residente in provincia di Messina, non potendo partecipare al Convegno, invia il seguente contributo:

Salve. Mi chiamo Sonia Caridi e sono la sorella di Carmelo, uno dei tanti ragazzi danneggiati da vaccino, e oggi tra voi presente con la madre. Impegni familiari mi hanno impedito di presenziare a questo importante convegno, a cui mi auguro seguiranno preziosi risultati, ma voglio comunque essere ugualmente tra voi attraverso questa mia testimonianza scritta, umile nei contenuti ma desiderosa, al contempo, di lasciare una traccia nella mente di tutti coloro che, come politici, vorranno finalmente preoccuparsi di tutelare la dignitá e il rispetto di questi cittadini danneggiati, perché facenti anch'essi parte, a pieno titolo, di una societá che si definisce civile. Conosciamo tutti la Legge 210, e sappiamo,quindi, che , nel suo presunto intento di venire incontro ai soggetti danneggiati da emotrasfusioni, emoderivati e vaccini, essa abbia considerato solo ed esclusivamente il danno biologico, cioè quello relativo al corpo, alla parte organica e materiale di un essere umano. Ogni uomo,però, non è solo materia, corpo; è soprattutto anima, ed è proprio in questa sua parte immateriale, spirituale, che si realizza pienamente la natura umana. Ma di ciò la Legge in questione sembra proprio essersi dimenticata. Con il mio contributo voglio, allora, far conoscere, attraverso la storia di mio fratello, quanto un danno biologico possa incidere sulla vita non solo di chi lo ha subito, ma anche di coloro che faranno del tentativo di dar senso e dignitá all'esistenza del danneggiato l'unico scopo della loro vita, cioè i familiari. Carmelo era un bellissimo bambino di 11 mesi, con due profondi occhi neri desiderosi di esplorare il mondo, quando fu sottoposto a vaccinazione antivaiolosa obbligatoria. Oggi, invece, Carmelo è un ragazzo di 39 anni, che , dal giorno successivo al vaccino, e in un continuo processo di decadimento psico-fisico, è affetto da emiparesi destra e da disturbo borderline di personalitá, non sa leggere, né scrivere, ha lo sguardo spesso assente, non ha una deambulazione sufficientemente autonoma ed è totalmente dipendente dalla sua mamma. Fin da piccolo i suoi profondi occhi neri hanno visto solo ospedali, case di cura e cliniche psichiatriche; nel corso degli anni, poi, è stato sottoposto a diverse operazioni chirurgiche, persino ad una lobotomia cerebrale, onde evitare l'internamento. Credo, comunque, sia inutile raccontare nei dettagli tutta la serie di cure e di interventi di cui ha avuto bisogno non solo mio fratello, ma tutti quelli che, per motivi diversi o uguali, hanno fatto ricorso alla legge 210 per ottenere l'esiguo risarcimento da essa previsto, e che da solo neppure basta a compensare le ingenti spese sostenute nei molti trattamenti medici, effettuati ,tra l'altro, non in vista di una risoluzione definitiva della malattia, quanto per porre un temporaneo rimedio a qualche piccolo e non grave aspetto di essa, essendo ormai impossibile intervenire direttamente sulla causa prima. Vorrei, invece, parlare di tutti quegli altri aspetti non cosí immediatamente visibili della loro vita, nei quali davvero si comprende quanto grande sia stato il danno da essi subito, prendendo come spunto la storia della mia famiglia. Quando nasce un bambino, le fantasie del padre e della madre nei suoi confronti sono tante e positive: su di lui si riversano, infatti, moltissime aspettative, perché un figlio è sempre l'estensione narcisistica di noi stessi. Cosa succede quando questo bambino, cosí bello e sano alla nascita, ad un certo punto diventa "malato", "rotto", in seguito ad un evento esterno a lui stesso, non congenito, come la vaccinazione, e non corrisponde più ai desideri maturati dai genitori? Le risposte potrebbero essere tante, perché tanti e diversi sono i vissuti, le accettazioni, le difficoltá ed ogni caso è sempre un caso a se. Per ognuno di essi, però, possiamo immaginare facilmente il fardello quotidiano che i genitori devono portare, le speranze deluse, il cumulo di frustrazioni accumulate con il passare degli anni. Ciò che, invece, non ci riesce altrettanto facilmente è rispondere al loro perenne interrogativo: "perchè successo proprio a nostro figlio?". Per la legge la risposta è semplice: per il bene dell'intera collettivitá, purtroppo, è probabile che qualcuno "ci rimetta", e quindi il danno diventa solo una disgrazia inevitabile ma comunque necessaria. La famiglia, invece, non riuscirá mai a dare una valida giustificazione al danno, e lo vivrá come un'ingiustizia impossibile da accettare, e il rischio è di dare troppo amore o di non darne affatto. In casa mia ho visto concretizzarsi entrambe le situazioni. Mio padre, che all'epoca del fatto si trovava emigrato per lavoro, torna d'urgenza a casa e, vedendo un figlio che non è più il figlio sano e bello il cui ricordo lo aveva aiutato a sopportare i disagi che ogni emigrazione comporta, subisce un trauma che lo porterá a chiudersi sempre più in se stesso, fino a diventare completamente indifferente verso qualsiasi richiesta di collaborazione e aiuto nell'accudimento del proprio bambino, nell'illusorio tentativo di tener lontana dalla coscienza l'immagine di un figlio malato. È mia madre, quindi, che fin dall'inizio si assume la responsabilitá di far funzionare una famiglia , distrutta proprio nel suo nascere, per offrire un contesto adeguato alla crescita di un bambino bisognoso di tutte le sue attenzioni. Contesto che il loro paese, quarant'anni fa, non poteva certo offrire, per cui , al dolore della malattia, si unisce quello dell'allontanamento dalla propria terra, dalle proprie famiglie, per andare alla ricerca di una soluzione, di una cura, forse di un miracolo. Non c'è niente che mia madre non abbia fatto, o soluzione di cui non sia andata alla ricerca, o porta che non abbia bussato per ottenere qualche diritto, o medico che non abbia consultato, o spesa che non abbia affrontato per risolvere i problemi sempre emergenti. Un'intera vita di rinunce per dedicarsi interamente a suo figlio, tanto da ritrovarsi ora, non avendo potuto lavorare, come una che non ha diritto neppure alla più infima delle pensioni. É impossibile riassumere in poche righe 39 anni di sofferenze, e solo chi le ha condivise può sapere. Quando Carmelo si sveglia la mattina, ha subito bisogno della mamma per essere lavato e vestito. Si siede su una poltrona e trascorre la mattinata cosí, fermo, disinteressato verso qualsiasi forma di stimolazione esterna, con lo sguardo nel vuoto; dopo pranzo si rimette a letto perché le molte medicine assunte durante la giornata lo rendono assonnato, intorpidito. Si risveglia con l'unico scopo di attendere la cena e tornare, poco dopo, nuovamente a dormire. E intanto il mondo fuori scorre? gira vorticosamente. Mentre a casa nostra il ciclo ricomincia sempre uguale, con tutte le necessarie forme di assistenza quotidiana cui mia madre regolarmente assolve. Non può esser lasciato solo, non trova piacere nell'ascoltare la radio o guardare la tv; la monotonia delle sue giornate è interrotta solo da qualche passeggiata in macchina che io, quando mi è possibile, gli faccio fare per distrarlo e sollevarlo un po' dalla tristezza che prova per essersi dovuto trasferire in Sicilia, in un paese che non sente "suo", solo perché qui c'era una casa nostra, mentre a Firenze, con tutte le spese che la malattia ha richiesto, non c'è mai potuta essere. Prima dell'ultima operazione,però, la sua vita era diversa; abbiamo cercato di inserirlo in varie comunitá di lavoro per ragazzi handicappati, ma ha dovuto sempre uscirne a causa dei suoi comportamenti eccessivamente aggressivi. Stava spesso fuori casa e spesso qualcuno arrivava a casa nostra lamentandosi di aver subito un attacco verbale o fisico da parte sua. Bastava un niente per scatenare la sua rabbia incontrollata, che, se fuori veniva sfogata occasionalmente, magari in seguito ad una parola di scherno udita, dentro, tra le mura domestiche, prorompeva invece quotidianamente, e mia madre ne portava spesso i segni sul suo corpo. Quante volte io e lei siamo state percosse, inseguite con un coltello, definite con le più ripugnanti parole. Ma se mia madre è riuscita, apparentemente, a superare certi momenti di paura e a darsi forza per andare avanti, io risento tutt'oggi dei danni psicologici dovuti alla tristezza, alla vergogna e all'inquietudine accumulati nel tempo, e sono diventata una dappista, cioè un'ansiosa con attacchi di panico. Tuttavia, più che alle sofferenze ed alle conseguenze sopportate dalla famiglia, bisogna dare importanza ai vissuti dolorosi di chi il danno lo ha subito in prima persona. Quante volte ho desiderato che mio fratello non avesse la capacitá di capire fino in fondo la sua malattia! La sua aggressivitá è sempre stata, infatti, scatenata dalla consapevolezza di non poter condurre una vita normale, dal capire che molta gente, fuori, lo osserva con sarcasmo, proferendo anche parole di scherno, e questa è la cosa che non solo lo ha fatto più soffrire, ma ha contribuito alla progressiva perdita del suo interesse verso il mondo esterno, e all'intensificarsi della sua depressione. Dopo quanto detto, mi domando: la legge 210, nel considerare il danno biologico e nel quantificare il relativo risarcimento, riesce a dare una svolta positiva alla vita di un individuo? Ritiene davvero di poter far dimenticare o compensare tutte le frustrazioni, le umiliazioni e le delusioni provate dal danneggiato? Si può mai quantificare in denaro l'impossibilitá di formarsi una famiglia propria, di avere dei figli, di studiare o di lavorare, di viaggiare, di divertirsi, di avere degli amici e, in breve, di fare tutto quelle che un individuo normale può fare e, che talvolta,magari, questo neppure riesce ad apprezzare? Che dire poi dei familiari che pure hanno condiviso le stesse umiliazioni e le stesse sofferenze, che non hanno potuto sperimentare una vita serena, normale, e che, soprattutto, continuano a dedicarsi con abnegazione alla cura del proprio caro? Solo se si riconsidereranno le persone come formate da un corpo e da un'anima si potrá arrivare ad una vera empatia con esse, e solo se ci sará empatia si potrá dar loro dignitá e aiuto vero. Uniamo il nostro dolore ma anche la forza che grazie a Dio ci rimane, per sensibilizzare i politici, affinché si rendano finalmente conto che dentro un corpo malato c'è uno spirito ancor più ferito e offeso; e che è proprio questo spirito a dover essere curato e risollevato, anche economicamente, perché chi ha subito un danno da vaccinazione ha sacrificato la sua stessa esistenza a vantaggio di altri, e , anche se il danno biologico rimane, ha più di tutti diritto ad avere tutti i mezzi per condurre una vita dignitosa, senza ulteriori privazioni, senza più umiliazioni, e, soprattutto, senza più rifiuti. Grazie. Sonia C