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SENTENZA
N. 423
ANNO 2000
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare
MIRABELLI
Presidente
-
Francesco
GUIZZI
Giudice
-
Fernando
SANTOSUOSSO
"
-
Massimo
VARI
"
-
Riccardo
CHIEPPA
"
-
Gustavo
ZAGREBELSKY
"
-
Valerio
ONIDA
"
-
Carlo
MEZZANOTTE
"
-
Fernanda
CONTRI
"
-
Guido
NEPPI MODONA
"
-
Annibale
MARINI
"
-
Franco
BILE
"
-
Giovanni Maria
FLICK
"
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25
febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati), come integrati dall’art. 1,
comma 2, della legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla
legge
25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti
danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati),
promossi con ordinanze emesse il 7 luglio 1999 dal Tribunale di Firenze, il 29
settembre 1999 dal Tribunale di Firenze – sezione del lavoro e il 6 dicembre
1999 dal Tribunale di Sanremo, rispettivamente iscritte ai nn. 601 e 683 del
registro ordinanze 1999, e al n. 65 del registro ordinanze 2000 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 44 e 51, prima serie speciale, dell’anno 1999 e n. 9, prima
serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di
consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto
in fatto
1.1. – Con ordinanza del 7 luglio 1999 (r.o. 601/1999), il Tribunale
di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 38 della Costituzione,
questione di costituzionalità degli artt. 1, comma 3, e 2, commi 1 e 2, della
legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati
da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui tali norme,
“quantificando l’indennizzo dovuto a coloro che presentino danni
irreversibili da epatiti post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione,
sia pure in misura ridotta, del danno biologico subìto a seguito di
emotrasfusioni”.
In fatto, riferisce il Tribunale che l’attore del giudizio di merito
ha esposto di essersi sottoposto, nel 1991, a un intervento comportante
trasfusioni di sangue, a seguito delle quali aveva contratto un’epatite HCV;
il nesso causale fra la trasfusione e il danno da epatite cronica HCV era
stato riconosciuto dalla apposita commissione medico-ospedaliera,
nell’ambito della procedura per l’indennizzo di cui alla legge n. 210 del
1992, ascrivendosi l’infermità a una determinata categoria contestata
dall’interessato, che, proponendo la domanda giudiziale, ha lamentato
l’inadeguatezza della quantificazione dell’indennizzo sotto il profilo
della omessa considerazione del danno alla persona e che ha chiesto pertanto
nei confronti del Ministero della sanità la condanna al pagamento di una
somma corrispondente alla percentuale di invalidità permanente patita,
prospettando la possibile incostituzionalità della disciplina circa la
liquidazione dell’indennizzo appunto in quanto quest’ultimo non è
comprensivo della voce di danno biologico e perciò non è qualificabile in
termini di “serio ristoro”, come prescritto dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 307 del 1990.
Costituitasi l’amministrazione convenuta, che rilevava l’estraneità
reciproca tra l’indennizzo ex
legge n. 210 del 1992 e il richiesto risarcimento del danno biologico, questo
presupponendo l’imputabilità del danno stesso a titolo di colpa e quello
viceversa prescindendone, veniva disposta nel giudizio una consulenza
medico-legale che riconosceva all’interessato una percentuale del 50% di
invalidità permanente.
Il Tribunale solleva quindi la questione di costituzionalità, dando
seguito a quanto eccepito dalla parte attrice.
Quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale osserva che essa è
postulata dal contenuto stesso della domanda giudiziale, di liquidazione di un
indennizzo che tenga conto anche del danno biologico.
Quanto alla non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione
muove dalla disamina del sistema di indennizzo delineato dalla legge n. 210
del 1992.
In questa – si rileva – il legislatore ha disciplinato ipotesi
eterogenee tra loro, classificabili in due gruppi: a) da un lato, i casi di
danno da atto lecito, cioè derivanti da una attività della pubblica
amministrazione che, immune da colpa, comporta svantaggi per i limiti
oggettivi del sapere scientifico di un dato periodo, e nei quali le
conseguenze sfavorevoli all’individuo sono accettate come “prezzo” per
la maggiore tutela della salute collettiva: in essi è ricompreso il danno da
vaccinazioni obbligatorie; b) dall’altro, i casi nei quali,
indipendentemente da una valutazione circa la liceità del comportamento della
pubblica amministrazione, si riconosce una tutela sul piano patrimoniale a
situazioni che presentano una oggettiva difficoltà probatoria che renderebbe
altrimenti difficile, di fatto, una garanzia risarcitoria: in essi è
ricompreso il danno da emotrasfusioni. Per gli uni e per gli altri casi,
prosegue il Tribunale, la legge ha ancorato l’indennizzo a tabelle dettate
per le pensioni del personale militare.
Il sistema non esclude – rileva ancora il rimettente – la
risarcibilità
del danno per l’intero e in tutte le sue componenti, quando il
comportamento della pubblica amministrazione integri gli estremi del fatto
illecito extracontrattuale (ex art.
2043 cod. civ., ovvero ex art. 2050
cod. civ.): ciò è riconosciuto dalla stessa giurisprudenza costituzionale
(sentenza n. 118 del 1996) e altresì dalla giurisprudenza comune, che ha
escluso il rapporto di specialità tra l’indennizzo di cui alla legge n. 210
del 1992 e la disciplina generale in tema di fatto illecito, sussistendo il
quale pertanto la pubblica amministrazione sarà tenuta all’integrale
risarcimento del danno. Benché il risarcimento dell’intero danno sia
garantito nel caso di accertamento della responsabilità aquiliana della
pubblica amministrazione, ritiene tuttavia il Tribunale che sussista un dubbio
di costituzionalità della disciplina sotto il profilo della “serietà del
ristoro” che deve caratterizzare l’indennizzo.
Se infatti è vero che quest’ultimo non può e non deve essere pari
al risarcimento integrale del danno, essendo diverse le rispettive finalità
– di assistenza e solidarietà sociale, in un caso; di reintegrazione per
equivalente, nell’altro – e se assumono inoltre rilievo, ai fini
dell’indennizzo, le compatibilità e le disponibilità finanziarie dello
Stato, tuttavia, ad avviso del Tribunale – a parte la “stranezza” della
previsione legislativa, che ricollega l’importo dell’indennizzo al
trattamento pensionistico dei militari – può rilevarsi l’inadeguatezza
della quantificazione del beneficio, alla luce dell’enunciato della sentenza
n. 307 del 1990 della Corte costituzionale, secondo la quale l’indennizzo,
per i danni da trattamenti sanitari obbligatori, deve essere corrisposto
“... nei limiti di una liquidazione equitativa che pur tenga conto di tutte
le componenti del danno stesso”.
Ora, sottolinea il rimettente, una delle componenti essenziali del
danno non patrimoniale, secondo l’ormai consolidato orientamento della
giurisprudenza, è il danno biologico (o danno alla salute), danno che però
l’assegno di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177
(cui fa rinvio l’art. 2 della legge n. 210) non considera affatto, giacché
la tabella in questione richiama un assegno agganciato agli stipendi del
personale militare, variabile in rapporto al grado e alla categoria di
appartenenza, secondo una tecnica di valutazione analoga a quella che concerne
il danno patrimoniale da responsabilità civile per la circolazione di
veicoli, commisurato al reddito della persona e all’incidenza
dell’invalidità subìta sul reddito medesimo.
Nel meccanismo delineato dalla legge n. 210 del 1992, dunque, non viene
presa in considerazione, ai fini dell’indennizzo, la voce di danno
“biologico”, liquidabile in via equitativa, né viene svolta nel
procedimento correlativo alcuna indagine medico-legale circa l’incidenza
della lesione sulla salute dell’individuo, nei termini di una valutazione
percentuale di invalidità permanente.
L’esigenza che l’attività lecita della pubblica amministrazione
che sia causa di un danno per il privato comporti un ristoro serio ed
effettivo emerge, prosegue il Tribunale, dalla giurisprudenza costituzionale
resa sul non affine terreno del diritto di proprietà,
relativamente al quale la Corte ha varie volte censurato, alla stregua
dell’art. 42 della Costituzione, l’inadeguatezza dell’indennizzo per
espropriazione previsto dal legislatore, in quanto non “serio”. Allo
stesso modo sarebbe necessario il rispetto delle medesime caratteristiche
quanto al beneficio in parola, che attiene al diritto fondamentale alla
salute.
1.2. – Nel giudizio così instaurato è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza della
questione, illustrando le conclusioni in successiva memoria.
L’Avvocatura
sottolinea che dal tenore dell’ordinanza di rimessione non si comprende se
il Tribunale voglia riferirsi a una ipotesi di responsabilità da atto lecito
ovvero a una da fatto illecito, ipotesi che sono assai diverse tra loro, e che
richiedono un diverso approccio sistematico e argomentativo.
Mentre infatti sul terreno generale della responsabilità da fatto
illecito valgono i comuni principi e trovano applicazione gli artt. 2043 e
2059 cod. civ., nel campo della responsabilità da atto lecito – cioè non
ascrivibile a dolo o colpa dell’agente – la censura del Tribunale, di
“non serietà” del ristoro stabilito dalla legge, appare infondata, poiché
non può confondersi il bene della vita di cui si chiede il ristoro con il
criterio di determinazione dell’ammontare dello stesso ristoro. Se, cioè,
oggetto della questione è il quantum
dell’indennizzo, che si assume inadeguato in relazione al bene della vita
perduto o leso – tenendo peraltro presenti, sottolinea l’Avvocatura, i
caratteri dell’indennizzo quali definiti dalla sentenza n. 118 del 1996 -,
potrà essere criticata la scelta legislativa che ha optato per un determinato
metodo, ma non potrà chiedersi, per via di declaratoria di incostituzionalità,
di modificarne la natura, con l’inserimento di istituti estranei: non
sarebbe quindi ammissibile la considerazione di elementi, come il danno
biologico, non congruenti rispetto al criterio adottato dal legislatore; del
resto, la stessa voce di danno biologico è stata ed è determinata dagli
interpreti attraverso criteri talvolta di carattere esclusivamente
patrimoniale (ad esempio, con il ricorso al criterio del triplo della pensione
sociale).
La richiesta del rimettente non può dunque essere accolta, a fronte di
un indennizzo discrezionalmente configurato dal legislatore nei termini di un
intervento di solidarietà che, come tale, ha riguardo a parametri del tutto
diversi da quelli del risarcimento e prescinde dalla concreta valutazione caso
per caso della vicenda e dalla situazione personale dell’interessato.
2.1. – Il Tribunale di Firenze – sezione del lavoro ha sollevato,
con ordinanza del 29 settembre 1999 (r.o. 683/1999), questione di
costituzionalità degli artt. 1 e 2 della legge n. 210 del 1992, come
integrati dall’art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 1997, n. 238
(Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di
indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni
ed emoderivati), in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione.
In fatto, il Tribunale riferisce che il ricorrente, premesso: a) di
essere affetto da emofilia e di sottoporsi pertanto a periodiche trasfusioni
di emoderivati; b) di aver contratto, fin dall’aprile 1982, una epatopatia
irreversibile, dapprima di tipo B e poi di tipo C; c) di avere pertanto
chiesto la corresponsione dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992;
d) di avere ottenuto detto indennizzo, con decorrenza dal 1° dicembre 1994
(primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda), ha
formulato, sulla base di tali premesse, richiesta di condanna del Ministero
della sanità convenuto, in via principale al pagamento dell’indennizzo
pieno a decorrere dal manifestarsi dell’evento dannoso (aprile 1982), e in
via subordinata al pagamento, a decorrere dalla medesima data, dell’assegno una
tantum pari al 30% dell’indennizzo pieno. Con riferimento a entrambe le
domande, si aggiunge nell’ordinanza, il ricorrente ha prospettato la
possibile incostituzionalità della disciplina legislativa sopra indicata.
Alla
prospettazione di incostituzionalità dà seguito il Tribunale, peraltro
limitatamente alla rilevanza che essa assume rispetto alla domanda subordinata
e non anche in riferimento a quella principale: la normativa è infatti
denunciata in quanto attribuisce il diritto all’assegno una
tantum, per il periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso
e l’ottenimento del beneficio, soltanto a chi abbia riportato lesioni o
infermità da vaccinazioni obbligatorie e non anche a chi presenti danni
irreversibili da epatiti post-trasfusionali.
La censura di incostituzionalità, la cui rilevanza rispetto al
contenuto della domanda giudiziale, prosegue il Tribunale, risulta chiara, si
incentra sul raffronto tra l’omissione lamentata e il caso delle persone
danneggiate da vaccinazioni (antipoliomielitiche) non obbligatorie ma solo
promosse e incentivate dall’autorità sanitaria, caso nel quale, a seguito
della sentenza n. 27 del 1998 della Corte costituzionale, il diritto
all’assegno una tantum per il
periodo anteriore alla vigenza della legge n. 210 è riconosciuto: la
situazione di chi, emofilico, si sottoponga a trasfusioni per assicurarsi la
stessa sopravvivenza è connotata – sottolinea il rimettente – da uno
stato di coartazione e di necessità certo non minore di quello di chi si
sottoponga a vaccinazioni “promosse”.
Anche nell’ambito della tripartizione dei casi che possono darsi come
conseguenze di trattamenti sanitari, quale fissata dalla sentenza n. 118 del
1996 della Corte costituzionale (risarcimento del danno ex
art. 2043 cod. civ.; equo indennizzo a fronte dell’adempimento di un obbligo
legale; sostegno assistenziale negli altri casi), non risulterebbe comunque
giustificabile, ad avviso del Tribunale, il trattamento deteriore riservato a
persone che si sono trovate nella necessità di sottoporsi a terapie
trasfusionali, in un periodo nel quale il servizio sanitario pubblico non
aveva raggiunto adeguati standards
di sicurezza.
La lacuna legislativa, d’altra parte, sarebbe lesiva anche
dell’art. 32 della Costituzione, che tutela la salute anche nella sua
dimensione individuale e non solo in quella collettiva; e, conclusivamente, il
Tribunale osserva che è lo stesso art. 3 della Costituzione che richiede di
assegnare rilievo alle situazioni di fatto che costringono il singolo in una
condizione di necessità e di bisogno; una condizione, si precisa, che la
richiamata sentenza n. 118 del 1996 non aveva potuto prendere in
considerazione, essendo il problema derivato dalla legislazione del 1997 e
altresì dal nuovo assetto determinato dalla sentenza costituzionale n. 27 del
1998.
2.2. – Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità o di
infondatezza della questione, anche in tal caso illustrando le conclusioni in
successiva memoria.
Rileva l’Avvocatura che, secondo l’ormai consolidato indirizzo
della giurisprudenza costituzionale, non può essere oggetto di censura, alla
stregua dell’art. 3 della Costituzione, la potestà, attinente al vero e
proprio merito legislativo, di adottare discrezionalmente soluzioni
differenziate per ipotesi diverse, pur se assimilabili. Nella specie, la
condizione di coloro che hanno riportato lesioni o infermità da vaccinazioni
obbligatorie è oggettivamente diversa e distinta da quella dei soggetti che
presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali, sebbene le due
categorie siano ricomprese nel più ampio ambito dei soggetti danneggiati da
un intervento sanitario: proprio la loro considerazione in due distinte norme,
anzi, sembra evidenziare l’intento del legislatore di regolare in autonomia
e non unitariamente i due casi, anche nel quadro delle determinazioni
economico-finanziarie assunte con la legge n. 238 del 1997.
3.1. – Il Tribunale di Sanremo, con ordinanza del 6 dicembre 1999 (r.o.
65/2000), ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 1,
della legge n. 210 del 1992, “nella parte in cui non prevede il diritto
all’indennizzo per i soggetti sottopostisi a vaccinazione antiepatite B non
obbligatoria in quanto appartenenti a categoria a rischio (nella specie:
persone conviventi con soggetti HBsAG positivi) in relazione alla quale
l’autorità sanitaria abbia promosso e diffuso capillarmente la
vaccinazione”, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, e 32 della
Costituzione.
Nel
procedimento civile principale, il ricorrente ha chiesto, nei confronti del
Ministero della sanità, l’erogazione dell’indennizzo previsto dall’art.
1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, perché, essendosi sottoposto a
vaccinazione antiepatite B su raccomandazione dell’autorità sanitaria
italiana in quanto persona convivente con soggetto HBsAG positivo (cioè
affetto da epatite B acuta e cronica), ha contratto, in conseguenza della
vaccinazione, una epatopatia cronica; la richiesta – precisa il rimettente
– si basa sulla citata norma, quale risultante a seguito della sentenza n.
27 del 1998 della Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale “nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo
... di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel
periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695”.
La domanda giudiziale, osserva il Tribunale, non è però accoglibile,
allo stato della disciplina in vigore, perché a) non si tratta, nella specie,
di vaccinazione obbligatoria, alla quale si riferisce il testo dell’art. 1,
e b) non è richiamabile la citata pronuncia della Corte, che concerne un
diverso tipo di vaccinazione e che non è formulata in termini generali, ma
solo con riguardo alla vaccinazione antipoliomielitica.
E’ però accertato, prosegue il rimettente, che il ricorrente ha
contratto una epatopatia cronica per effetto della vaccinazione antiepatite B:
del resto, l’indennizzo in argomento in un primo tempo era stato erogato
all’interessato, fino al 1997, ma era stato poi revocato appunto per la
mancanza del requisito legale dell’obbligatorietà della vaccinazione.
Ciò posto, è rilevante – osserva il Tribunale - la questione di
costituzionalità relativa all’omessa attribuzione dell’indennizzo ai
soggetti sottopostisi a vaccinazione antiepatite B non obbligatoria ma
“promossa” nei loro riguardi, perché è tale lacuna legislativa a
impedire l’accoglimento del ricorso; e la questione stessa è, per il
Tribunale, non manifestamente infondata, per le considerazioni che seguono.
Varrebbero, anche in questa situazione, le argomentazioni di fondo
della sentenza n. 27 del 1998 citata, nella quale, affermato il principio che
non è lecito, ex artt. 2 e 32
della Costituzione, richiedere che il singolo metta a rischio la propria
salute per un trattamento nell’interesse della collettività senza che
questa sia disposta a condividere il peso delle conseguenze negative che ne
possono derivare, la Corte ha rilevato che, dal punto di vista di questo
stesso principio, non è possibile distinguere il caso in cui il trattamento
sia imposto per legge dal caso in cui esso sia promosso e incentivato dalla
pubblica autorità; ed è alla stregua di questa omologazione che la Corte,
chiamata al controllo di costituzionalità a partire da vicende di fatto
analoghe alla presente (si trattava infatti di casi di vaccinazione antipolio
non obbligatoria), si è pronunciata nel senso anzidetto.
Anche nel caso in questione, osserva il Tribunale, all’epoca in cui
l’interessato si era sottoposto alla vaccinazione antiepatite B – cioè
nel dicembre del 1985 – l’amministrazione sanitaria pubblica stava
svolgendo una intensa attività di promozione e incentivazione di tale tipo di
vaccinazione, in particolare verso chi, come il ricorrente, fosse “a
rischio” perché convivente con soggetti positivi al virus.
Questa
attività, si precisa nell’ordinanza, si era espressa, già dagli inizi del
1983, fino all’epoca dei fatti di causa e poi oltre, con una serie di atti
dell’amministrazione, principalmente circolari e direttive, che il
rimettente indica puntualmente: la circolare del Ministero della sanità n. 2
dell’11 gennaio 1983 (Profilassi immunitaria dell’epatite B), che
individuava i conviventi di persone affette da epatite B come categoria “a
rischio” da sottoporre a censimento e screening
per la conseguente vaccinazione; la circolare del Ministero della sanità n.
39 del 22 aprile 1983 (Approvvigionamento vaccini antiepatite B registrati in
Italia), circa il programma di approvvigionamento da parte delle autorità
sanitarie competenti a livello locale in materia di profilassi delle malattie
infettive e diffusive; le circolari del Ministero della sanità n. 51 del 1°
giugno 1983 (Programmi di vaccinazione contro l’epatite B) e n. 9 del 19
marzo 1985 (Programmi di vaccinazione contro l'epatite B), relative ai
programmi di vaccinazione e alle direttive per le autorità locali; la nota
del Ministero della sanità 400.2/41VH/717 del 23 maggio 1985 (Profilassi
dell’epatite B. Primi risultati delle campagne di vaccinazione), circa
l’andamento delle campagne vaccinali promosse fino ad allora; atti, tutti,
orientati nel senso della realizzazione di programmi di censimento e screening
da parte delle U.S.L., per individuare i soggetti definibili a rischio e per
raccomandare nei loro riguardi la sottoposizione alla vaccinazione, ai quali
hanno fatto seguito, nella medesima prospettiva: la
circolare del Ministero della sanità n. 31 del 26 luglio 1985
(Vaccinazione antiepatite B); la circolare del Ministero della sanità n. 30
del 15 aprile 1986 (Programmi di vaccinazione contro l’epatite B); la nota
del Ministero della sanità 400.2/41V/1190 del 19 luglio 1986 (Profilassi
vaccinale dell’epatite B); la nota del Ministero della sanità
400.2/41V/1104 del 4 agosto 1987 (Campagne vaccinali contro l’epatite B); la
nota del Ministero della sanità 400.2/41V85/323 del 14 marzo 1988 (Campagna
di vaccinazione contro l’epatite B. Approvvigionamento di vaccini).
E
tali indirizzi di promozione e diffusione della vaccinazione antiepatite B,
aggiunge il rimettente, hanno altresì trovato riscontro sul piano locale, per
quanto qui maggiormente rileva, nelle circolari della Regione Liguria n. 43989
del 1° giugno 1983 (Programma di vaccinazione contro l’epatite virale B in
Liguria) e n. 69225/2235 IP del 4 giugno 1985 (Campagna di vaccinazione contro
l’epatite B nel 1985).
All’atto di sottoporsi al trattamento dunque – osserva il Tribunale
– era in opera una precisa e mirata sollecitazione dell’autorità
sanitaria pubblica, nell’ambito di una vera e propria “campagna” di
vaccinazioni antiepatite B.
Come nel caso oggetto della sentenza n. 27 del 1998, dunque, il
trattamento sanitario non obbligatorio è stato compiuto a seguito di una
complessiva attività di informazione, sollecitazione e responsabilizzazione
svolta dall’autorità sanitaria, anche con la prospettazione di rischi
derivanti, in caso di mancata vaccinazione, per i bambini.
Il Tribunale aggiunge che sul piano legislativo la vaccinazione
antiepatite B è stata resa obbligatoria, con la legge 27 maggio 1991, n. 165,
solo nei riguardi dei nuovi nati: per le persone nate in precedenza, dunque,
la vaccinazione in discorso, pur se gratuita, non è tuttora obbligatoria; ma
tale circostanza, conclude il Tribunale rimettente, non è decisiva ai fini
della questione sollevata, perché la censura non attiene alla irretroattività
della disciplina ma alla mancata inclusione di una determinata categoria di
soggetti tra i titolari del diritto all’indennizzo.
1.
– Il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Firenze - sezione del lavoro e il
Tribunale di Sanremo dubitano, sotto diversi aspetti, della legittimità
costituzionale della disciplina dettata dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210
(Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo
irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati), in tema di indennizzo dovuto a coloro che
abbiano subito danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali.
In
particolare, il Tribunale di Firenze (r.o. 601/1999) dubita - in riferimento
agli artt. 2 e 38 della Costituzione - della legittimità costituzionale degli
artt. 1, comma 3, e 2, commi 1 e 2, della legge n. 210 del 1992, nella parte
in cui, nel quantificare l’indennizzo dovuto a coloro che presentino danni
irreversibili da epatiti post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione,
sia pure in misura ridotta, del danno biologico subito a seguito di
emotrasfusione.
Il
Tribunale di Firenze - sezione del lavoro, a sua volta (r.o. 683/1999), dubita
– in relazione agli artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione - della
legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 (come integrati dall’art. 1,
comma 2, della legge 25 luglio 1997, n. 238) della legge n. 210 del 1992,
nella parte in cui escludono i soggetti che presentino danni irreversibili da
epatiti post-trasfusionali dal diritto all’assegno una
tantum per il periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e
l’ottenimento dell’indennizzo previsto dalla legge.
Il
Tribunale di Sanremo, infine (r.o. 65/2000), dubita – in riferimento agli
artt. 2, 3, primo comma, e 32 della Costituzione – della legittimità
costituzionale dell’art. 1 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 nella
parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo per soggetti sottoposti a
vaccinazioni antiepatite B non obbligatoria, in quanto appartenenti a
categorie a rischio, in relazione alle quali l’autorità sanitaria abbia
promosso la diffusione della vaccinazione.
2.
– Le tre questioni anzidette, riguardando la medesima materia dei diritti
indennitari conseguenti alla sottoposizione a trattamenti sanitari, possono
essere riunite e trattate congiuntamente in un’unica sentenza.
3.
– La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di
Firenze, che contesta la scelta del legislatore circa i criteri adottati per
quantificare il beneficio previsto, non è fondata.
La
disciplina apprestata dalla legge n. 210 del 1992 opera su un piano diverso da
quello in cui si colloca quella civilistica in tema di risarcimento del danno,
compreso il cosiddetto danno biologico. Per quanto qui interessa, al fine di
evidenziare la distanza che separa il risarcimento del danno dall’indennità
prevista dalla legge denunciata, basta rilevare che la responsabilità civile
presuppone un rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile e configura
quest’ultimo, quanto alla sua entità, in relazione alle singole fattispecie
concrete, valutabili caso per caso dal giudice, mentre il diritto
all’indennità sorge per il sol fatto del danno irreversibile derivante da
epatite post-trafusionale, in una misura prefissata dalla legge. Ferma la
possibilità per l’interessato di azionare l’ordinaria pretesa
risarcitoria, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha
dunque previsto una misura economica di sostegno aggiuntiva, in un caso di
danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente da ragioni
obiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in modo da
consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell’an
e nel quantum, non subordinata
all’esito di un’azione di risarcimento del danno, esito condizionato
all’accertamento dell’entità e, soprattutto, alla non facile
individuazione di un fatto illecito e del responsabile di questo.
La
questione di costituzionalità in esame tende quindi a trasferire elementi di
un sistema di garanzia in un altro – operazione che si potrebbe semmai
giustificare se la misura prevista dalla legge impugnata dovesse valere in
luogo del risarcimento del danno, o in conseguenza di una prescrizione legale
o per l’impossibilità di fatto di far valere le pretese risarcitorie
derivanti dal danno subìto. Poiché però così non può dirsi che sia –
nemmeno sotto il profilo fattuale, rispetto al quale occorre sottolineare che
spetta necessariamente alla giurisprudenza rendere efficace la tutela
risarcitoria nei casi di trasfusione di sangue infetto, individuando gli
eventuali fatti illeciti e i responsabili di questi -
la pretesa inclusione nel beneficio previsto dalla legge n. 210 di
elementi propri della tutela risarcitoria non appare giustificata.
Il
Tribunale rimettente ritiene che la stessa mancata considerazione, quale
componente del beneficio previsto dalla legge, del danno biologico, comporti
l’inadeguatezza del beneficio medesimo, con violazione degli artt. 2 e 38
della Costituzione, evocati peraltro genericamente. Ma, così argomentando, si
finisce per l’appunto per confondere gli istituti in una sorta di petitio
principii: non dimostrando ma dando per dimostrato il presupposto, cioè
il necessario carattere comune dei due istituti – il beneficio e il
risarcimento - rispetto ai criteri di quantificazione.
Quanto
fin qui detto non esclude comunque che il legislatore possa riconsiderare
l’opportunità della scelta operata circa il criterio da adottare nella
quantificazione del beneficio riconosciuto dalla legge ai soggetti danneggiati
da epatiti post-trasfusionali (oltre che agli ammalati di HIV e ai danneggiati
da vaccini): criterio collegato oggi al trattamento pensionistico dei
militari. Ma ciò riguarda il buon uso della discrezionalità legislativa e
non - quantomeno sotto i profili indicati dal Tribunale rimettente – la
legittimità costituzionale della legge denunciata.
4. – Non fondata è altresì la questione sollevata dal Tribunale di
Firenze – sezione del lavoro, relativa alla mancata previsione da parte
della legge n. 210 del 1992, a favore dei soggetti danneggiati
irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, del diritto all’assegno una
tantum previsto - dall’art. 2, comma 2, della legge n. 210 per il
periodo intercorrente tra il manifestarsi della malattia e l’ottenimento
dell’indennizzo - a favore di quanti abbiano subìto una menomazione
permanente alla salute da vaccinazione obbligatoria.
Si
fa dunque essenzialmente una questione di rispetto del principio di
uguaglianza, mentre gli altri principi costituzionali evocati non
costituiscono altro che una sua connotazione. Si denuncia l’irrazionale
disparità di trattamento tra i sottoposti a vaccinazione obbligatoria e
coloro che hanno subito trattamenti trasfusionali ematici, disparità che si
risolve a danno dei secondi. Osserva il Tribunale rimettente che il grado di
costrizione al trattamento di questi ultimi, spesso indotti dalla necessità
di salvare la vita, non è minore di quello riguardante coloro che si sono
sottoposti alla vaccinazione in conseguenza di un obbligo legale, tanto più
in quanto alla situazione dell’obbligo legale sia stata equiparata – con
la sentenza n. 27 del 1998 di questa Corte – quella dell’incentivazione
nell’ambito di una politica sanitaria pubblica.
La questione, così impostata, non può essere accolta per le ragioni
già addotte da questa Corte, nella sentenza n. 226 del 2000, nel dichiarare
non fondata analoga questione sollevata dal Pretore di Milano. Anche in
quell’occasione si faceva valere l’assimilabilità della situazione di
coloro che si sono sottoposti a un trattamento sanitario, ricevendone un danno
irrimediabile alla salute, in conseguenza di un obbligo legale (caso su cui
sono intervenute le sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, relative alla
vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica) alla situazione di coloro i
quali, come gli emofilici, sono necessitati, in mancanza di alternative
terapeutiche, senza possibilità di scelta, a sottoporsi a somministrazioni di
sangue ed emoderivati, pena il decorso infausto della loro malattia. Già in
tale occasione, il giudice rimettente osservava che la necessità del ricorso
alla terapia ematica, stante un rischio per la vita, si potrebbe dire perfino
più cogente che non nel caso di trattamento sanitario imposto per legge, la
cui violazione dà luogo meramente a una sanzione giuridica. E si concludeva
ricordando che la Corte costituzionale stessa non ha assegnato valore
dirimente all’esistenza di un obbligo legale avendo affermato, con la
sentenza n. 27 del 1998, il diritto all’indennizzo non necessariamente in
presenza di un obbligo legale ma anche nell’ipotesi in cui il trattamento
terapeutico, non (ancora) reso obbligatorio, era oggetto di una specifica
politica di promozione.
Queste
argomentazioni, tuttavia, si collocano fuori della ratio
costituzionale del diritto all’equo indennizzo riconosciuto in base agli
artt. 32 e 2 della Costituzione. Ciò che rileva è l’esistenza di un
interesse pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il
trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene dalla legge assunto a
oggetto di un obbligo legale o di una politica pubblica di diffusione tra la
popolazione. La giurisprudenza costituzionale alla quale il giudice rimettente
si riferisce è ferma nell’individuare in questo interesse – e non
nell’essere il singolo necessitato al trattamento: necessità che è solo
una conseguenza -
la ragione dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di
quanti, sottomettendosi al trattamento imposto, vengono a soffrire di un
pregiudizio alla loro salute.
In
base a queste considerazioni, si comprende che il raffronto tra la cogenza
dell’obbligo legale o l’incentivazione
al trattamento, da un lato, e la necessità
terapeutica del trattamento stesso, dall’altro, non è produttivo nel senso
della equiparazione delle situazioni, dal punto di vista del principio di
uguaglianza. Le situazioni sono diverse e non si prestano a entrare in una
visione unificatrice perché solo le prime corrispondono a un interesse
generale, che è quello in base al quale è costituzionalmente necessario che
la collettività assuma su di sé una partecipazione alle difficoltà nelle
quali può venirsi a trovare il singolo che ha cooperato al perseguimento di
tale interesse.
La
questione di costituzionalità - pur ponendo un problema di tutela di soggetti
deboli, posti in condizioni di gravissima difficoltà e quindi meritevoli di
protezione - in quanto impiantata nei termini anzidetti, non può dunque
trovare accoglimento.
5.
– Fondata è invece la questione sollevata dal Tribunale di Sanremo, il
quale dubita della legittimità costituzionale della mancata previsione del
diritto all’indennizzo, previsto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 210
a favore di quanti abbiano riportato danni irreversibili alla salute, essendo
stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B non obbligatoria, appartenendo a
una categoria di persone considerate “a rischio” e perciò incentivate a
sottoporsi alla vaccinazione stessa nell’ambito di una campagna promossa
dall’autorità sanitaria. Il giudice rimettente ritiene ingiustificata tale
mancata previsione, a fronte della attribuzione dell’indennizzo a favore di
chi, in analoghe circostanze, abbia contratto un’infermità a seguito di
vaccinazione antipoliomielitica (art. 1 della legge n. 210 del 1992, quale
risultante a seguito della sentenza n. 27 del 1998 di questa Corte).
Il
citato art. 1 della legge n. 210 prevede il diritto all’indennizzo
(determinato dall’art. 2) per chiunque abbia riportato lesioni o infermità
dalle quali sia derivata una menomazione permanente all’integrità
psico-fisica, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge. Con la sentenza
testé citata, questa Corte – richiamato “il principio che non è lecito
[...] richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un
interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a
condividere, come è possibile, il peso di eventuali conseguenze negative”
(sentenze nn. 307 del 1990 e 118 del 1996) - ha ritenuto non esservi ragione
di differenziare, rispetto a tale principio, “il caso [...] in cui il
trattamento sanitario sia imposto per legge da quello [...] in cui esso sia,
in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua
diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera
determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da
quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di
politica sanitaria”. Infatti, si aggiungeva, “una differenziazione che
negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in
una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe [...] a coloro che
sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni
di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a
favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione”.
In
applicazione dei princìpi così posti, la risoluzione della presente
questione di costituzionalità consiste nel rispondere alla domanda se,
analogamente a quanto accertato in relazione alla vaccinazione
antipoliomielitica, anche per la vaccinazione antiepatite possa dirsi essere
stata in atto una campagna legalmente promossa dall’autorità sanitaria per
la diffusione di tale secondo tipo di vaccinazione. La risposta positiva è
documentata dagli atti – ricordati analiticamente nell’esposizione in
fatto - adottati a partire dal 1983, in attuazione dei compiti di promozione
della salute pubblica che, alla stregua della legge 13 marzo 1958, n. 296,
spettano all’autorità sanitaria nazionale. Con la legge 27 maggio 1991, n.
165, la vaccinazione contro l’epatite virale B è stata resa obbligatoria
per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita, ma anche prima di tale data gli
atti sopra menzionati testimoniano essere stata condotta – a partire dalla
circolare n. 2 dell’11 gennaio 1983 del Ministero della sanità - una
capillare campagna per la realizzazione di un programma di diffusione della
vaccinazione stessa che ha coinvolto le strutture sanitarie pubbliche del
nostro paese in un’opera di responsabilizzazione e sensibilizzazione ai
rischi che l’epatite di tipo B comporta per sé e per gli altri, e
innanzitutto per i bambini.
Deve
così ritenersi che sussistono, anche per i soggetti sottoposti a vaccinazione
antiepatite di tipo B in attuazione della suddetta politica sanitaria promossa
al riguardo, le condizioni che hanno indotto questa Corte, nella sentenza n.
27 del 1998, a ritenere costituzionalmente dovuto per i soggetti sottoposti a
vaccinazione antipoliomielitica l’indennizzo previsto dall’art. 1 della
legge n. 210. Pertanto, in accoglimento della questione proposta dal Tribunale
di Sanremo, tale disposizione deve essere dichiarata incostituzionale per dare
ingresso al diritto all’indennizzo anche a tale categoria di soggetti.
riuniti
i giudizi,
1)
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210
(Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo
irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto
all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati
sottoposti a vaccinazione antiepatite B, a partire dall’anno 1983;
2)
dichiara non fondata la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 2, commi 1 e 2, della
legge n. 210 del 1992 sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 38 della
Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3)
dichiara non fondata la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 210 del 1992,
come integrati dall’art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 1997, n. 238
(Modifiche ed integrazioni alla legge
25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti
danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati)
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale
di Firenze – sezione del lavoro con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 9 ottobre 2000.
F:to:
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Gustavo
ZAGREBELSKY, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in cancelleria il 16 ottobre 2000.
Il
Direttore della Cancelleria