SENTENZA
N. 118 ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori: - Avv. Mauro FERRI Presidente - Prof. Luigi MENGONI
Giudice - Prof. Enzo CHELI " - Dott. Renato GRANATA " - Prof.
Giuliano VASSALLI " - Prof. Cesare MIRABELLI " - Prof. Fernando
SANTOSUOSSO " - Avv. Massimo VARI " - Dott. Cesare RUPERTO " -
Dott. Riccardo CHIEPPA " - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY " ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge
25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati
da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso con ordinanza
emessa il 19 aprile 1995 dal Pretore di Firenze nel procedimento
vertente tra Brogini Roberto ed altra, n.q., e Ministero della sanità
iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale,
dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Brogini Roberto
ed altra; udito nella udienza pubblica del 23 gennaio 1996
il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky; udito l'Avvocato
Sergio Grasselli per Brogini Roberto ed altra.
Ritenuto
in fatto
1. --
Nel corso di un giudizio civile, promosso dai genitori esercenti
la potestà sul minore (nato il 26 marzo 1978) colpito da invalidità
permanente a seguito della vaccinazione obbligatoria antipolio cui
era stato sottoposto nel luglio 1978, e diretto sia alla richiesta
di una diversa decorrenza dell'indennizzo riconosciuto sia alla
determinazione di una misura superiore di esso, il Pretore di Firenze,
con ordinanza del 19 aprile 1995, ha sollevato, in riferimento all'art.
32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 2 e 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore
dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a
causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione
di emoderivati) "nella parte in cui, nel caso di incidente vaccinale
verificatosi anteriormente alla data di entrata in vigore della
legge stessa, fanno decorrere l'indennizzo dal primo giorno del
mese successivo alla presentazione della domanda posteriore alla
legge medesima, e non dal verificarsi del danno all'integrità fisico-psichica,
o dalla conoscenza che di esso abbia l'avente diritto, come invece
è previsto per i casi insorti" successivamente alla entrata in vigore
della legge medesima. Il giudice a quo, premesso che la "sussistenza
e la causa della menomazione sono comprovati in atti e sono stati
accertati, in sede amministrativa, con le procedure di cui all'art.
4 della legge", e ravvisata la rilevanza della questione dal momento
che "dalla sua soluzione dipende la possibilità di accogliere la
domanda, quantomeno sotto l'aspetto della decorrenza temporale della
prestazione attualmente goduta (il che potrebbe riflettersi anche
sul capo di domanda relativo al quantum)", osserva che il
tenore dell'art. 3, comma 7, della legge, - ai sensi del quale è
concesso a coloro che abbiano subíto menomazioni, pregresse rispetto
all'entrata in vigore della legge stessa, il termine di tre anni
da quest'ultima data per la presentazione della domanda di indennizzo
- non consente di interpretare in senso retroattivo il disposto
del precedente art. 2, comma 2, della legge che subordina la prestazione
economica alla domanda, facendola decorrere dal mese successivo
a quello di presentazione della domanda stessa. Esclusa quindi la
possibilità - anche per il concorso degli ulteriori elementi documentali
prescritti dall'art. 2, commi 4 e 5 - di considerare utili le domande
presentate anteriormente all'entrata in vigore della legge, così
come, agli stessi fini, tutte le precedenti manifestazioni di volontà
(nella specie, in concreto, intervenute), nell'ordinanza di rimessione
si sostiene che la normativa impugnata, nella parte in cui fa decorrere
l'indennizzo dalla domanda presentata dopo la legge n. 210 e non
invece dall'effettivo insorgere del danno alla persona o comunque
dalla conoscenza che di esso abbia l'avente diritto nel caso in
cui il danno sia insorto precedentemente, contrasterebbe con l'art.
32 della Costituzione perché non assicurerebbe al soggetto leso,
per il passato, quella "protezione ulteriore" della quale la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 307 del 1990, ha ravvisato l'indefettibile
necessità allorché si verifichi un danno alla salute, "seppur non
riferibile a responsabilità di alcuno", reso possibile dal trattamento
di vaccinazione obbligatoria imposto nell'interesse della collettività.
La decorrenza del beneficio così determinata priverebbe l'interessato
di quell'indennità che il principio di solidarietà, invocato da
questa Corte nella sentenza citata, reclamerebbe invece fin dal
configurarsi della menomazione, così come poi avviene per gli incidenti
verificatisi dopo l'entrata in vigore della legge, potendo la domanda
di indennizzo essere proposta non appena risulti la conoscenza del
danno. 2. -- Si sono costituite le parti private, ovverosia i genitori
esercenti la potestà sul minore, esponendo in fatto che, in seguito
alla menomazione del loro figlio - consistita in una invalidità
permanente con paralisi flaccida degli arti ed impossibilità alla
deambulazione autonoma - avevano presentato, in data 19 novembre
1981, domanda di riconoscimento di invalidità civile che veniva
accolta il 16 settembre 1982, e che in più occasioni si erano rivolti
ad uffici pubblici sanitari per ottenere anche il risarcimento per
i danni subíti, ricevendo però risposte negative. Nel marzo del
1991 - a seguito della notizia del risarcimento del danno riconosciuto
dal Tribunale di Milano a persona contagiata da soggetto vaccinato
nonché della sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte - gli interessati
chiedevano formalmente l'attribuzione, a carico dello Stato, di
un indennizzo a favore del figlio, e, a seguito dell'entrata in
vigore della legge n. 210 del 1992, in data 27 aprile 1992 rinnovavano
la formale domanda di indennizzo. Svolti i necessari accertamenti
ed accolta la domanda, veniva liquidato l'indennizzo annuo a decorrere
"dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione
della domanda formulata sulla base della legge n. 210" cit., senza
tener conto delle precedenti richieste tendenti ad una decorrenza
del beneficio anticipata. A sostegno delle considerazioni svolte
nell'ordinanza di rimessione le parti private osservano che, una
volta che lo Stato riconosce la propria responsabilità per i danni
prodotti alla salute dei cittadini da eventi temporalmente individuati,
non possono poi essere fissati limiti alla decorrenza del diritto
al risarcimento in una data, arbitrariamente indicata, diversa da
quella in cui l'evento si è verificato, senza che ciò implichi una
violazione dell'art. 32 della Costituzione che assicura la tutela
del diritto alla salute senza limitazioni temporali. Rilevano altresì
che, in tema di pensioni militari per fatti bellici (materia di
cui sottolineano l'analogia con quella degli indennizzi per danni
a seguito di vaccinazioni obbligatorie, a causa del ricorrere in
entrambe dell'interesse della collettività), l'art. 98 della l.
23 dicembre 1978 n. 915 obbliga l'ospedale o l'istituto, che effettua
la visita di controllo del militare per l'accertamento delle menomazioni
che comportano il diritto a pensione o ad assegno di guerra, a rimettere
d'ufficio la documentazione alla competente commissione medica
per gli accertamenti sanitari e, comunque, l'art. 23 della stessa
legge fa decorrere l'indennizzo per fatti di guerra dalla data dell'evento.
Il differente trattamento riservato a coloro che abbiano subíto
danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie appare tanto più ingiustificato,
ove si consideri che la poliomielite è malattia soggetta a denuncia
obbligatoria da parte dei sanitari che la rilevano e lo Stato potrebbe
quindi agevolmente individuare i casi da sottoporre ad accertamento,
senza richiedere domanda di sorta da parte dei cittadini. Inoltre
la legge n. 210 creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento
tra soggetti che abbiano subíto lo stesso danno da vaccinazione
in momenti diversi; difatti la mancata previsione dell'indennizzo
per il periodo compreso tra il momento dell'evento (vaccinazione)
e il momento della domanda si configurerebbe come un ostacolo d'ordine
economico e sociale che perdura nel tempo e che l'art. 3, secondo
comma, della Costituzione impone di rimuovere fin dal suo sorgere.
3. -- In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato
una memoria nella quale hanno segnalato che, nel procedimento legislativo
di conversione del decreto-legge 29 aprile 1995,n. 135, era stata
introdotta una norma sulla decorrenza dell'indennizzo per danno
da vaccinazione obbligatoria dal momento della lesione, riconoscendosi
così l'esigenza di tutelare in modo completo il diritto assoluto
e inviolabile dell'individuo alla propria salute, anche nel suo
contenuto economico. Il decreto-legge veniva approvato da entrambi
i rami del Parlamento, ma la legge di conversione veniva rinviata
allo stesso Parlamento per mancanza di copertura finanziaria. Ciò
posto, nella memoria si chiede che la Corte, una volta chiarito
se quanto accaduto costituisca "riconoscimento stragiudiziale del
diritto almeno nei confronti dei ricorrenti che hanno agito in giudizio",
estenda il proprio giudizio anche sulla misura dell'indennizzo "palesemente
non adeguata all'estrema gravità dei danni biologici subíti dall'interessato,
anche in relazione ai danni che gli derivano in ordine alla vita
di relazione ed alla sua capacità lavorativa, derivati pur sempre
dalla vaccinazione".
Considerato
in diritto
1. --
Il Pretore di Firenze solleva di fronte a questa Corte questione
di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 25 febbraio
1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze
di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni
e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui stabiliscono
che l'indennizzo per il danno derivante da vaccinazione obbligatoria
"ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della
presentazione della domanda" intesa ad ottenerlo e che "per coloro
che, alla data di entrata in vigore della ... legge hanno già subíto
la menomazione ..., il termine [per la presentazione della domanda]
decorre dalla data di entrata in vigore della legge". Ad avviso
del giudice rimettente, le norme suddette si porrebbero in contrasto
con l'art. 32 della Costituzione che tutela la salute "come fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettività", in quanto
non garantirebbero un'indennizzabilità temporalmente piena a favore
di coloro che abbiano subíto menomazioni da vaccinazione obbligatoria
nel tempo anteriore alla legge in questione. 2. -- La parte privata,
nei suoi atti difensivi, prospetta altresí una censura di incostituzionalità
in ordine alla misura dell'indennizzo prevista dalla legge impugnata.
Ma tale censura non può trovare accesso nel giudizio, i cui termini
sono fissati nell'atto introduttivo nei limiti testè indicati. 3.
-- Deve innanzitutto essere chiarita la portata della denunciata
disciplina della legge n. 210 del 1992, in relazione agli eventi
dannosi alla salute verificatisi in epoca anteriore alla sua entrata
in vigore. L'art. 1, comma 1, stabilisce con norma generale che
"chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie
per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesione
o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente
della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte
dello Stato, alle condizioni e nei modi" che la legge stessa stabilisce
negli articoli seguenti. Con altra norma di portata altrettanto
generale, l'art. 2, dopo aver determinato al comma 1 la struttura
e l'ammontare dell'indennizzo, al comma 2 ne stabilisce la decorrenza
dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione
della domanda intesa ad ottenerlo. Tale domanda, secondo l'art.
3, comma 1, nel caso di vaccinazione obbligatoria, deve essere presentata
al Ministero della sanità entro 3 anni. La decorrenza del triennio
tuttavia è diversa a seconda che il danno si sia verificato in epoca
successiva o anteriore all'entrata in vigore della legge. Nel primo
caso, il triennio decorre dal momento della conoscenza del danno;
nel secondo, dall'entrata in vigore della legge (art. 3, comma 7).
Le norme richiamate sono dunque chiare nel prevedere che gli eventi
ante legem, al pari di quelli post legem, sono indennizzabili
e che, tanto per gli uni che per gli altri, la decorrenza del diritto
all'indennizzo è fissata al primo giorno del mese successivo alla
presentazione della domanda. Perciò, coloro che abbiano subíto il
danno in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge non potranno
essere indennizzati che per il periodo successivo. Essi sono, per
così dire, rimessi in termini ma solo proceduralmente, essendo loro
consentito di presentare domanda anche oltre il triennio dall'evento
(ma comunque entro il triennio dall'entrata in vigore della legge),
non anche - per dir così - sostanzialmente, valendo il previsto
indennizzo soltanto per il tempo successivo alla domanda. Questa
disciplina è tuttora vigente, pur essendo stata riconsiderata dal
legislatore in sede di conversione in legge del decreto-legge 29
aprile 1995, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza
farmaceutica e di sanità), nono decreto-legge di una serie che continua
tuttora ed è giunta alla quattordicesima reiterazione (decreto-legge
26 febbraio 1996, n. 89). Con un emendamento all'art. 6 del suindicato
decreto-legge n. 135 del 1995, approvato tanto dalla Camera dei
deputati (sedute del 17 maggio 1995, in prima lettura, e del 28
giugno 1995 in seconda lettura) quanto dal Senato della Repubblica
(seduta del 21 giugno 1995), si era riconosciuto il principio dell'indennizzabilità
temporalmente piena, estendendo la decorrenza dell'indennizzo al
tempo passato, dal primo giorno del mese successivo a quello in
cui l'avente diritto avesse riportato la lesione o l'infermità.
Tale innovazione non si è peraltro tradotta in una modifica delle
norme impugnate, poiché la legge di conversione, rinviata alle Camere
dal Presidente del Senato della Repubblica nell'esercizio delle
funzioni di Presidente della Repubblica, a norma dell'art. 74 della
Costituzione (messaggio del 28 giugno 1995), in relazione precisamente
alle nuove norme contenute nell'art. 6 del decreto-legge, come modificato
nel corso del procedimento di conversione in legge, non è stata
riapprovata e la catena dei decreti-legge, spogliati dell'innovazione
suddetta, ha ripreso a scorrere. Di qui la presente questione di
costituzionalità, essendo data a tutt'oggi l'indennizzabilità temporalmente
solo parziale, cioè esclusivamente per il futuro, degli eventi dannosi
derivanti da vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, verificatisi
anteriormente all'entrata in vigore della legge: indennità solo
parziale che risulta dal combinato disposto degli artt. 2, comma
2, e 3, comma 7, che devono ritenersi le norme in concreto impugnate.
4. -- L'esatto inquadramento del problema di costituzionalità che
la Corte è chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del
significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento
al caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella
collettiva, ipotesi che può ricorrere tipicamente nei casi di trattamenti
sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione antipoliomielitica.
La disciplina costituzionale della salute comprende due lati, individuale
e soggettivo l'uno (la salute come "fondamentale diritto dell'individuo"),
sociale e oggettivo l'altro (la salute come "interesse della collettività").
Talora l'uno può entrare in conflitto con l'altro, secondo un'eventualità
presente nei rapporti tra il tutto e le parti. In particolare -
questo è il caso che qui rileva - può accadere che il perseguimento
dell'interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti
sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto
individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per
la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate,
pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile. Tali
trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell'art. 32, secondo
comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva
di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana
e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258
del 1994, con l'esigenza che si prevedano ad opera del legislatore
tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio
di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è
allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano
in conflitto. Il caso da cui trae origine il presente giudizio di
costituzionalità ne è un esempio. La vaccinazione antipoliomielitica
comporta infatti un rischio di contagio, preventivabile in astratto
- perché statisticamente rilevato - ancorché in concreto non siano
prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall'evento dannoso.
In questa situazione, la legge che impone l'obbligo della vaccinazione
antipoliomielitica compie deliberatamente una valutazione degli
interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle
che sono state denominate "scelte tragiche" del diritto: le scelte
che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro
caso, l'eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio
di un male (nel nostro caso, l'infezione che, seppur rarissimamente,
colpisce qualcuno dei suoi componenti). L'elemento tragico sta in
ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra
tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli
altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente
eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia
mediche - e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -,
la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà
a questo genere di scelte pubbliche. 5. -- L'anzidetto carattere
della vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, in un ordinamento
come è il nostro, orientato a riconoscere valore fondamentale alla
persona come individuo (art. 2 della Costituzione), comporta una
condizione da cui ne dipende la legittimità, condizione ulteriore
rispetto a quelle prescritte nel secondo comma dell'art. 32 della
Costituzione - quasi un altro elemento di rafforzamento della riserva
di legge ivi prevista - secondo quanto è chiarito nella sentenza
n. 307 del 1990 di questa Corte, la quale costituisce il necessario
punto di riferimento della presente decisione. In quell'occasione
la Corte costituzionale ha affermato che il rilievo dalla Costituzione
attribuito alla salute in quanto interesse della collettività, se
è normalmente idoneo da solo a "giustificare la compressione di
quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno
alla salute in quanto diritto fondamentale", cioè a escludere la
facoltà di sottrarsi alla misura obbligatoria (si veda, altresí
la sentenza n. 258 del 1994), non lo è invece quando possano derivare
conseguenze dannose per il diritto individuale alla salute. Impregiudicato
qui il problema del rilievo da riconoscersi all'obiezione di coscienza
nei confronti dei trattamenti medicali, in nome del dovere di solidarietà
verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento
sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica
che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di
genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente.
Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria
salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri. La coesistenza
tra la dimensione individuale e quella collettiva della disciplina
costituzionale della salute nonché il dovere di solidarietà che
lega il singolo alla collettività, ma anche la collettività al singolo,
impongono che si predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno
alla salute dall'aver ottemperato all'obbligo del trattamento sanitario,
una specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro
del danno. Un ristoro, occorre aggiungere, dovuto per il semplice
fatto obiettivo e incolpevole dell'aver subíto un pregiudizio non
evitabile, in un'occasione dalla quale la collettività nel suo complesso
trae un beneficio: dovuto dunque indipendentemente dal risarcimento
in senso proprio che potrà eventualmente essere richiesto dall'interessato,
ove ricorrano le condizioni previste dall'art. 2043 del codice civile.
E, mentre la tutela contro l'illecito predisposta dalla norma menzionata
ha necessariamente effetti risarcitori pieni anche del danno alla
salute in quanto tale - secondo la "fermissima" giurisprudenza di
questa Corte (sentenze nn. 455 del 1990, 1011 e 992 del 1988, 559
del 1987, 184 del 1986 e 88 del 1979) -, non altrettanto è per l'indennizzo
in questione, il quale prescinde dalla colpa e deriva dall'inderogabile
dovere di solidarietà che, in questi casi, incombe sull'intera collettività
e, per essa, sullo Stato. Si tratta di una misura che, pur non potendo
essere irrisoria e - come anche ha precisato la suddetta sentenza
(n. 307 del 1990) - pur dovendo tenere conto di tutte le componenti
del danno stesso, ha natura equitativa. Il necessario collegamento,
come condizione di legittimità costituzionale, che questa Corte
ha affermato doverci essere tra la previsione legislativa dell'obbligo
di sottoporsi a vaccinazione e l'indennizzabilità del pregiudizio
da essa derivante, rende palese la differenza tra questa e tutte
le altre evenienze in cui, in nome della solidarietà, la collettività
assuma su di sé, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi
dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la società
stessa abbia preso nel proprio interesse. Nella prima ipotesi -
che è quella della sentenza n. 307 del 1990 e anche quella su cui
cade la presente decisione - la solidarietà non implica soltanto,
come invece nella seconda, un dovere al quale il legislatore possa
dare seguito secondo quei criteri di discrezionalità e quella necessaria
ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo
costituzionale che valgono per i diritti previsti da norme costituzionali
a efficacia condizionata all'intervento del legislatore (sentenza
n. 455 del 1990), ma comporta un vero e proprio obbligo, cui corrisponde
una pretesa protetta direttamente dalla Costituzione. Si tratta
perciò di un obbligo avente uno speciale carattere. Per la collettività
è in questione non soltanto il dovere di aiutare chi si trova in
difficoltà per una causa qualunque, ma l'obbligo di ripagare il
sacrificio che taluno si trova a subíre per un beneficio atteso
dall'intera collettività. Sarebbe contrario al principio di giustizia,
come risultante dall'art. 32 della Costituzione, alla luce del dovere
di solidarietà stabilito dall'art. 2, che il soggetto colpito venisse
abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o che il danno
in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto
al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza,
ovvero ancora si subordinasse la soddisfazione delle pretese risarcitorie
del danneggiato all'esistenza di un comportamento negligente altrui,
comportamento che potrebbe mancare. 6. -- Riassumendo con ordine,
la menomazione della salute derivante da trattamenti sanitari può
determinare una di queste tre conseguenze: a) il diritto al risarcimento
pieno del danno, riconosciuto dall'art. 2043 del codice civile,
in caso di comportamenti colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo,
discendente dall'art. 32 della Costituzione in collegamento con
l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato
subíto in conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c)
il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure
di sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito
dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali,
in tutti gli altri casi. 7. -- L'art. 1 della impugnata legge n.
210 del 1992 prevede - secondo il titolo della legge stessa - un
"indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni
e somministrazione di emoderivati". Le ipotesi ivi previste sono
assai varie, dal punto di vista tanto del tipo di danno, quanto
dei soggetti indennizzabili. Circa il danno, si tratta di menomazioni
permanenti, di qualsiasi tipo, da vaccinazioni obbligatorie, di
infezioni da HIV, da somministrazione di sangue e suoi derivati
e di epatite post-trasfusionale. Quanto ai soggetti, si tratta,
a seconda dei casi, di persone giuridicamente obbligate, semplicemente
necessitate o non obbligate al trattamento medico, di persone sottoposte
al trattamento o di persone entrate in contatto con soggetti infetti
per qualsiasi motivo, ovvero per ragioni attinenti all'esercizio
di professioni sanitarie. Questa complessa casistica non si presta
a una valutazione unitaria, alla stregua della anzidetta ricapitolazione
tripartita. Per questa ragione, le conclusioni cui qui si deve pervenire
in ordine al diritto all'indennizzo dei soggetti colpiti, senza
colpa di altri, da menomazioni conseguenti a vaccinazione obbligatoria
antipoliomielitica non possono ritenersi di per sé estensibili a
tutte le altre ipotesi previste dall'art. 1 della legge in questione.
8. -- L'ascrivibilità all'anzidetta ipotesi sub b) (v. par.
n. 6) della situazione giuridica propria dei soggetti colpiti da
menomazione a seguito di vaccinazione antipoliomielitica spiega
come questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, abbia potuto
non solo dichiarare l'incostituzionalità della legge 4 febbraio
1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica),
perché non prevedeva alcuna indennità a carico dello Stato a favore
di coloro che avessero subíto conseguenze menomanti la loro salute,
ma altresì dichiarare, attraverso l'applicazione diretta della norma
costituzionale anche in questo caso, l'esistenza del diritto di
costoro a ottenere un equo indennizzo, demandandone al giudice la
quantificazione in concreto, fino a quando - si intende - il legislatore
non fosse intervenuto in materia. Ciò è avvenuto con la legge n.
210 del 1992, la quale ha operato la quantificazione dell'indennizzo
e ha precisato le modalità per far valere la pretesa dell'indennizzo
medesimo, così dando seguito alla pronuncia della Corte costituzionale,
del riferimento alla quale i lavori preparatori portano traccia
abbondante. Ma contemporaneamente, l'impugnato art. 2, comma 2,
in connessione con l'art. 3, comma 7, ha stabilito una limitazione
temporale, che equivale ad una riduzione parziale del danno indennizzabile:
limitazione che risulta inammissibile alla stregua della natura
del diritto che deve essere riconosciuto ai danneggiati, un diritto
- come si è visto - che il legislatore può modellare equitativamente
soltanto circa la misura. La disciplina impugnata, per la parte
che interessa la presente questione di costituzionalità, pertanto,
non soltanto si è posta contro il diritto alla salute sancito dall'art.
32 della Costituzione, ma ha altresì contraddetto la sentenza n.
307 del 1990 di questa Corte, nella quale il riconoscimento dell'obbligo
di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria
antipoliomielitica non trovava particolari limitazioni di carattere
temporale. La dichiarazione di incostituzionalità che si rende dunque
necessaria colpisce le norme impugnate nella parte in cui escludono
il diritto a un indennizzo per il tempo anteriore all'entrata in
vigore della legge e conduce, come conseguenza, a ripristinare,
per quel tempo, la portata della sentenza della Corte costituzionale
illegittimamente ridotta. Pertanto, a coloro i quali abbiano subíto
un danno da vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, direttamente
o anche indirettamente, a causa dell'assistenza personale prestata
ai primi - come si ebbe a precisare nella sentenza n. 307 del 1990
- spetta, per il danno patito dal momento del manifestarsi dell'evento
dannoso fino all'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge,
un equo ristoro determinato alla stregua dei criteri indicati dalla
predetta decisione di incostituzionalità.
PER
QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge
25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati
da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in
cui escludono, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento
prima dell'entrata in vigore della predetta legge e l'ottenimento
della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto
- fuori dell'ipotesi dell'art. 2043 del codice civile - a un equo
indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a
causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti
vi si siano sottoposti e da quanti abbiano prestato ai primi assistenza
personale diretta.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il |