|  
              
                 SENTENZA 
                  N. 118 ANNO 1996 
                  REPUBBLICA ITALIANA 
                  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
                  LA CORTE COSTITUZIONALE  
                   
              
              composta 
                dai signori: - Avv. Mauro FERRI Presidente - Prof. Luigi MENGONI 
                Giudice - Prof. Enzo CHELI " - Dott. Renato GRANATA " - Prof. 
                Giuliano VASSALLI " - Prof. Cesare MIRABELLI " - Prof. Fernando 
                SANTOSUOSSO " - Avv. Massimo VARI " - Dott. Cesare RUPERTO " - 
                Dott. Riccardo CHIEPPA " - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY " ha pronunciato 
                la seguente  
                 
              
                 SENTENZA 
                 
              
              nel 
              giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 
              25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati 
              da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, 
              trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso con ordinanza 
              emessa il 19 aprile 1995 dal Pretore di Firenze nel procedimento 
              vertente tra Brogini Roberto ed altra, n.q., e Ministero della sanità 
              iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella 
              Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, 
              dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Brogini Roberto 
              ed altra; udito nella udienza pubblica del 23 gennaio 1996 
              il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky; udito l'Avvocato 
              Sergio Grasselli per Brogini Roberto ed altra.  
              
                Ritenuto 
                in fatto  
              
              1. -- 
              Nel corso di un giudizio civile, promosso dai genitori esercenti 
              la potestà sul minore (nato il 26 marzo 1978) colpito da invalidità 
              permanente a seguito della vaccinazione obbligatoria antipolio cui 
              era stato sottoposto nel luglio 1978, e diretto sia alla richiesta 
              di una diversa decorrenza dell'indennizzo riconosciuto sia alla 
              determinazione di una misura superiore di esso, il Pretore di Firenze, 
              con ordinanza del 19 aprile 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 
              32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli 
              artt. 2 e 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore 
              dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a 
              causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione 
              di emoderivati) "nella parte in cui, nel caso di incidente vaccinale 
              verificatosi anteriormente alla data di entrata in vigore della 
              legge stessa, fanno decorrere l'indennizzo dal primo giorno del 
              mese successivo alla presentazione della domanda posteriore alla 
              legge medesima, e non dal verificarsi del danno all'integrità fisico-psichica, 
              o dalla conoscenza che di esso abbia l'avente diritto, come invece 
              è previsto per i casi insorti" successivamente alla entrata in vigore 
              della legge medesima. Il giudice a quo, premesso che la "sussistenza 
              e la causa della menomazione sono comprovati in atti e sono stati 
              accertati, in sede amministrativa, con le procedure di cui all'art. 
              4 della legge", e ravvisata la rilevanza della questione dal momento 
              che "dalla sua soluzione dipende la possibilità di accogliere la 
              domanda, quantomeno sotto l'aspetto della decorrenza temporale della 
              prestazione attualmente goduta (il che potrebbe riflettersi anche 
              sul capo di domanda relativo al quantum)", osserva che il 
              tenore dell'art. 3, comma 7, della legge, - ai sensi del quale è 
              concesso a coloro che abbiano subíto menomazioni, pregresse rispetto 
              all'entrata in vigore della legge stessa, il termine di tre anni 
              da quest'ultima data per la presentazione della domanda di indennizzo 
              - non consente di interpretare in senso retroattivo il disposto 
              del precedente art. 2, comma 2, della legge che subordina la prestazione 
              economica alla domanda, facendola decorrere dal mese successivo 
              a quello di presentazione della domanda stessa. Esclusa quindi la 
              possibilità - anche per il concorso degli ulteriori elementi documentali 
              prescritti dall'art. 2, commi 4 e 5 - di considerare utili le domande 
              presentate anteriormente all'entrata in vigore della legge, così 
              come, agli stessi fini, tutte le precedenti manifestazioni di volontà 
              (nella specie, in concreto, intervenute), nell'ordinanza di rimessione 
              si sostiene che la normativa impugnata, nella parte in cui fa decorrere 
              l'indennizzo dalla domanda presentata dopo la legge n. 210 e non 
              invece dall'effettivo insorgere del danno alla persona o comunque 
              dalla conoscenza che di esso abbia l'avente diritto nel caso in 
              cui il danno sia insorto precedentemente, contrasterebbe con l'art. 
              32 della Costituzione perché non assicurerebbe al soggetto leso, 
              per il passato, quella "protezione ulteriore" della quale la Corte 
              costituzionale, con la sentenza n. 307 del 1990, ha ravvisato l'indefettibile 
              necessità allorché si verifichi un danno alla salute, "seppur non 
              riferibile a responsabilità di alcuno", reso possibile dal trattamento 
              di vaccinazione obbligatoria imposto nell'interesse della collettività. 
              La decorrenza del beneficio così determinata priverebbe l'interessato 
              di quell'indennità che il principio di solidarietà, invocato da 
              questa Corte nella sentenza citata, reclamerebbe invece fin dal 
              configurarsi della menomazione, così come poi avviene per gli incidenti 
              verificatisi dopo l'entrata in vigore della legge, potendo la domanda 
              di indennizzo essere proposta non appena risulti la conoscenza del 
              danno. 2. -- Si sono costituite le parti private, ovverosia i genitori 
              esercenti la potestà sul minore, esponendo in fatto che, in seguito 
              alla menomazione del loro figlio - consistita in una invalidità 
              permanente con paralisi flaccida degli arti ed impossibilità alla 
              deambulazione autonoma - avevano presentato, in data 19 novembre 
              1981, domanda di riconoscimento di invalidità civile che veniva 
              accolta il 16 settembre 1982, e che in più occasioni si erano rivolti 
              ad uffici pubblici sanitari per ottenere anche il risarcimento per 
              i danni subíti, ricevendo però risposte negative. Nel marzo del 
              1991 - a seguito della notizia del risarcimento del danno riconosciuto 
              dal Tribunale di Milano a persona contagiata da soggetto vaccinato 
              nonché della sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte - gli interessati 
              chiedevano formalmente l'attribuzione, a carico dello Stato, di 
              un indennizzo a favore del figlio, e, a seguito dell'entrata in 
              vigore della legge n. 210 del 1992, in data 27 aprile 1992 rinnovavano 
              la formale domanda di indennizzo. Svolti i necessari accertamenti 
              ed accolta la domanda, veniva liquidato l'indennizzo annuo a decorrere 
              "dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione 
              della domanda formulata sulla base della legge n. 210" cit., senza 
              tener conto delle precedenti richieste tendenti ad una decorrenza 
              del beneficio anticipata. A sostegno delle considerazioni svolte 
              nell'ordinanza di rimessione le parti private osservano che, una 
              volta che lo Stato riconosce la propria responsabilità per i danni 
              prodotti alla salute dei cittadini da eventi temporalmente individuati, 
              non possono poi essere fissati limiti alla decorrenza del diritto 
              al risarcimento in una data, arbitrariamente indicata, diversa da 
              quella in cui l'evento si è verificato, senza che ciò implichi una 
              violazione dell'art. 32 della Costituzione che assicura la tutela 
              del diritto alla salute senza limitazioni temporali. Rilevano altresì 
              che, in tema di pensioni militari per fatti bellici (materia di 
              cui sottolineano l'analogia con quella degli indennizzi per danni 
              a seguito di vaccinazioni obbligatorie, a causa del ricorrere in 
              entrambe dell'interesse della collettività), l'art. 98 della l. 
              23 dicembre 1978 n. 915 obbliga l'ospedale o l'istituto, che effettua 
              la visita di controllo del militare per l'accertamento delle menomazioni 
              che comportano il diritto a pensione o ad assegno di guerra, a rimettere 
              d'ufficio la documentazione alla competente commissione medica 
              per gli accertamenti sanitari e, comunque, l'art. 23 della stessa 
              legge fa decorrere l'indennizzo per fatti di guerra dalla data dell'evento. 
              Il differente trattamento riservato a coloro che abbiano subíto 
              danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie appare tanto più ingiustificato, 
              ove si consideri che la poliomielite è malattia soggetta a denuncia 
              obbligatoria da parte dei sanitari che la rilevano e lo Stato potrebbe 
              quindi agevolmente individuare i casi da sottoporre ad accertamento, 
              senza richiedere domanda di sorta da parte dei cittadini. Inoltre 
              la legge n. 210 creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento 
              tra soggetti che abbiano subíto lo stesso danno da vaccinazione 
              in momenti diversi; difatti la mancata previsione dell'indennizzo 
              per il periodo compreso tra il momento dell'evento (vaccinazione) 
              e il momento della domanda si configurerebbe come un ostacolo d'ordine 
              economico e sociale che perdura nel tempo e che l'art. 3, secondo 
              comma, della Costituzione impone di rimuovere fin dal suo sorgere. 
              3. -- In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato 
              una memoria nella quale hanno segnalato che, nel procedimento legislativo 
              di conversione del decreto-legge 29 aprile 1995,n. 135, era stata 
              introdotta una norma sulla decorrenza dell'indennizzo per danno 
              da vaccinazione obbligatoria dal momento della lesione, riconoscendosi 
              così l'esigenza di tutelare in modo completo il diritto assoluto 
              e inviolabile dell'individuo alla propria salute, anche nel suo 
              contenuto economico. Il decreto-legge veniva approvato da entrambi 
              i rami del Parlamento, ma la legge di conversione veniva rinviata 
              allo stesso Parlamento per mancanza di copertura finanziaria. Ciò 
              posto, nella memoria si chiede che la Corte, una volta chiarito 
              se quanto accaduto costituisca "riconoscimento stragiudiziale del 
              diritto almeno nei confronti dei ricorrenti che hanno agito in giudizio", 
              estenda il proprio giudizio anche sulla misura dell'indennizzo "palesemente 
              non adeguata all'estrema gravità dei danni biologici subíti dall'interessato, 
              anche in relazione ai danni che gli derivano in ordine alla vita 
              di relazione ed alla sua capacità lavorativa, derivati pur sempre 
              dalla vaccinazione".  
              
                Considerato 
                in diritto  
              
              1. -- 
              Il Pretore di Firenze solleva di fronte a questa Corte questione 
              di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 25 febbraio 
              1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze 
              di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni 
              e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui stabiliscono 
              che l'indennizzo per il danno derivante da vaccinazione obbligatoria 
              "ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della 
              presentazione della domanda" intesa ad ottenerlo e che "per coloro 
              che, alla data di entrata in vigore della ... legge hanno già subíto 
              la menomazione ..., il termine [per la presentazione della domanda] 
              decorre dalla data di entrata in vigore della legge". Ad avviso 
              del giudice rimettente, le norme suddette si porrebbero in contrasto 
              con l'art. 32 della Costituzione che tutela la salute "come fondamentale 
              diritto dell'individuo e interesse della collettività", in quanto 
              non garantirebbero un'indennizzabilità temporalmente piena a favore 
              di coloro che abbiano subíto menomazioni da vaccinazione obbligatoria 
              nel tempo anteriore alla legge in questione. 2. -- La parte privata, 
              nei suoi atti difensivi, prospetta altresí una censura di incostituzionalità 
              in ordine alla misura dell'indennizzo prevista dalla legge impugnata. 
              Ma tale censura non può trovare accesso nel giudizio, i cui termini 
              sono fissati nell'atto introduttivo nei limiti testè indicati. 3. 
              -- Deve innanzitutto essere chiarita la portata della denunciata 
              disciplina della legge n. 210 del 1992, in relazione agli eventi 
              dannosi alla salute verificatisi in epoca anteriore alla sua entrata 
              in vigore. L'art. 1, comma 1, stabilisce con norma generale che 
              "chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie 
              per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesione 
              o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente 
              della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte 
              dello Stato, alle condizioni e nei modi" che la legge stessa stabilisce 
              negli articoli seguenti. Con altra norma di portata altrettanto 
              generale, l'art. 2, dopo aver determinato al comma 1 la struttura 
              e l'ammontare dell'indennizzo, al comma 2 ne stabilisce la decorrenza 
              dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione 
              della domanda intesa ad ottenerlo. Tale domanda, secondo l'art. 
              3, comma 1, nel caso di vaccinazione obbligatoria, deve essere presentata 
              al Ministero della sanità entro 3 anni. La decorrenza del triennio 
              tuttavia è diversa a seconda che il danno si sia verificato in epoca 
              successiva o anteriore all'entrata in vigore della legge. Nel primo 
              caso, il triennio decorre dal momento della conoscenza del danno; 
              nel secondo, dall'entrata in vigore della legge (art. 3, comma 7). 
              Le norme richiamate sono dunque chiare nel prevedere che gli eventi 
              ante legem, al pari di quelli post legem, sono indennizzabili 
              e che, tanto per gli uni che per gli altri, la decorrenza del diritto 
              all'indennizzo è fissata al primo giorno del mese successivo alla 
              presentazione della domanda. Perciò, coloro che abbiano subíto il 
              danno in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge non potranno 
              essere indennizzati che per il periodo successivo. Essi sono, per 
              così dire, rimessi in termini ma solo proceduralmente, essendo loro 
              consentito di presentare domanda anche oltre il triennio dall'evento 
              (ma comunque entro il triennio dall'entrata in vigore della legge), 
              non anche - per dir così - sostanzialmente, valendo il previsto 
              indennizzo soltanto per il tempo successivo alla domanda. Questa 
              disciplina è tuttora vigente, pur essendo stata riconsiderata dal 
              legislatore in sede di conversione in legge del decreto-legge 29 
              aprile 1995, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza 
              farmaceutica e di sanità), nono decreto-legge di una serie che continua 
              tuttora ed è giunta alla quattordicesima reiterazione (decreto-legge 
              26 febbraio 1996, n. 89). Con un emendamento all'art. 6 del suindicato 
              decreto-legge n. 135 del 1995, approvato tanto dalla Camera dei 
              deputati (sedute del 17 maggio 1995, in prima lettura, e del 28 
              giugno 1995 in seconda lettura) quanto dal Senato della Repubblica 
              (seduta del 21 giugno 1995), si era riconosciuto il principio dell'indennizzabilità 
              temporalmente piena, estendendo la decorrenza dell'indennizzo al 
              tempo passato, dal primo giorno del mese successivo a quello in 
              cui l'avente diritto avesse riportato la lesione o l'infermità. 
              Tale innovazione non si è peraltro tradotta in una modifica delle 
              norme impugnate, poiché la legge di conversione, rinviata alle Camere 
              dal Presidente del Senato della Repubblica nell'esercizio delle 
              funzioni di Presidente della Repubblica, a norma dell'art. 74 della 
              Costituzione (messaggio del 28 giugno 1995), in relazione precisamente 
              alle nuove norme contenute nell'art. 6 del decreto-legge, come modificato 
              nel corso del procedimento di conversione in legge, non è stata 
              riapprovata e la catena dei decreti-legge, spogliati dell'innovazione 
              suddetta, ha ripreso a scorrere. Di qui la presente questione di 
              costituzionalità, essendo data a tutt'oggi l'indennizzabilità temporalmente 
              solo parziale, cioè esclusivamente per il futuro, degli eventi dannosi 
              derivanti da vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, verificatisi 
              anteriormente all'entrata in vigore della legge: indennità solo 
              parziale che risulta dal combinato disposto degli artt. 2, comma 
              2, e 3, comma 7, che devono ritenersi le norme in concreto impugnate. 
              4. -- L'esatto inquadramento del problema di costituzionalità che 
              la Corte è chiamata a risolvere presuppone la chiarificazione del 
              significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento 
              al caso in cui la sua dimensione individuale confligga con quella 
              collettiva, ipotesi che può ricorrere tipicamente nei casi di trattamenti 
              sanitari obbligatori, tra i quali rientra la vaccinazione antipoliomielitica. 
              La disciplina costituzionale della salute comprende due lati, individuale 
              e soggettivo l'uno (la salute come "fondamentale diritto dell'individuo"), 
              sociale e oggettivo l'altro (la salute come "interesse della collettività"). 
              Talora l'uno può entrare in conflitto con l'altro, secondo un'eventualità 
              presente nei rapporti tra il tutto e le parti. In particolare - 
              questo è il caso che qui rileva - può accadere che il perseguimento 
              dell'interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti 
              sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto 
              individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per 
              la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, 
              pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile. Tali 
              trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell'art. 32, secondo 
              comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva 
              di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana 
              e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258 
              del 1994, con l'esigenza che si prevedano ad opera del legislatore 
              tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio 
              di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è 
              allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano 
              in conflitto. Il caso da cui trae origine il presente giudizio di 
              costituzionalità ne è un esempio. La vaccinazione antipoliomielitica 
              comporta infatti un rischio di contagio, preventivabile in astratto 
              - perché statisticamente rilevato - ancorché in concreto non siano 
              prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall'evento dannoso. 
              In questa situazione, la legge che impone l'obbligo della vaccinazione 
              antipoliomielitica compie deliberatamente una valutazione degli 
              interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle 
              che sono state denominate "scelte tragiche" del diritto: le scelte 
              che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro 
              caso, l'eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio 
              di un male (nel nostro caso, l'infezione che, seppur rarissimamente, 
              colpisce qualcuno dei suoi componenti). L'elemento tragico sta in 
              ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra 
              tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli 
              altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente 
              eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia 
              mediche - e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -, 
              la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà 
              a questo genere di scelte pubbliche. 5. -- L'anzidetto carattere 
              della vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, in un ordinamento 
              come è il nostro, orientato a riconoscere valore fondamentale alla 
              persona come individuo (art. 2 della Costituzione), comporta una 
              condizione da cui ne dipende la legittimità, condizione ulteriore 
              rispetto a quelle prescritte nel secondo comma dell'art. 32 della 
              Costituzione - quasi un altro elemento di rafforzamento della riserva 
              di legge ivi prevista - secondo quanto è chiarito nella sentenza 
              n. 307 del 1990 di questa Corte, la quale costituisce il necessario 
              punto di riferimento della presente decisione. In quell'occasione 
              la Corte costituzionale ha affermato che il rilievo dalla Costituzione 
              attribuito alla salute in quanto interesse della collettività, se 
              è normalmente idoneo da solo a "giustificare la compressione di 
              quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno 
              alla salute in quanto diritto fondamentale", cioè a escludere la 
              facoltà di sottrarsi alla misura obbligatoria (si veda, altresí 
              la sentenza n. 258 del 1994), non lo è invece quando possano derivare 
              conseguenze dannose per il diritto individuale alla salute. Impregiudicato 
              qui il problema del rilievo da riconoscersi all'obiezione di coscienza 
              nei confronti dei trattamenti medicali, in nome del dovere di solidarietà 
              verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento 
              sanitario (o, come nel caso della vaccinazione antipoliomielitica 
              che si pratica nei primi mesi di vita, chi esercita la potestà di 
              genitore o la tutela) sia privato della facoltà di decidere liberamente. 
              Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria 
              salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri. La coesistenza 
              tra la dimensione individuale e quella collettiva della disciplina 
              costituzionale della salute nonché il dovere di solidarietà che 
              lega il singolo alla collettività, ma anche la collettività al singolo, 
              impongono che si predisponga, per quanti abbiano ricevuto un danno 
              alla salute dall'aver ottemperato all'obbligo del trattamento sanitario, 
              una specifica misura di sostegno consistente in un equo ristoro 
              del danno. Un ristoro, occorre aggiungere, dovuto per il semplice 
              fatto obiettivo e incolpevole dell'aver subíto un pregiudizio non 
              evitabile, in un'occasione dalla quale la collettività nel suo complesso 
              trae un beneficio: dovuto dunque indipendentemente dal risarcimento 
              in senso proprio che potrà eventualmente essere richiesto dall'interessato, 
              ove ricorrano le condizioni previste dall'art. 2043 del codice civile. 
              E, mentre la tutela contro l'illecito predisposta dalla norma menzionata 
              ha necessariamente effetti risarcitori pieni anche del danno alla 
              salute in quanto tale - secondo la "fermissima" giurisprudenza di 
              questa Corte (sentenze nn. 455 del 1990, 1011 e 992 del 1988, 559 
              del 1987, 184 del 1986 e 88 del 1979) -, non altrettanto è per l'indennizzo 
              in questione, il quale prescinde dalla colpa e deriva dall'inderogabile 
              dovere di solidarietà che, in questi casi, incombe sull'intera collettività 
              e, per essa, sullo Stato. Si tratta di una misura che, pur non potendo 
              essere irrisoria e - come anche ha precisato la suddetta sentenza 
              (n. 307 del 1990) - pur dovendo tenere conto di tutte le componenti 
              del danno stesso, ha natura equitativa. Il necessario collegamento, 
              come condizione di legittimità costituzionale, che questa Corte 
              ha affermato doverci essere tra la previsione legislativa dell'obbligo 
              di sottoporsi a vaccinazione e l'indennizzabilità del pregiudizio 
              da essa derivante, rende palese la differenza tra questa e tutte 
              le altre evenienze in cui, in nome della solidarietà, la collettività 
              assuma su di sé, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi 
              dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la società 
              stessa abbia preso nel proprio interesse. Nella prima ipotesi - 
              che è quella della sentenza n. 307 del 1990 e anche quella su cui 
              cade la presente decisione - la solidarietà non implica soltanto, 
              come invece nella seconda, un dovere al quale il legislatore possa 
              dare seguito secondo quei criteri di discrezionalità e quella necessaria 
              ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo 
              costituzionale che valgono per i diritti previsti da norme costituzionali 
              a efficacia condizionata all'intervento del legislatore (sentenza 
              n. 455 del 1990), ma comporta un vero e proprio obbligo, cui corrisponde 
              una pretesa protetta direttamente dalla Costituzione. Si tratta 
              perciò di un obbligo avente uno speciale carattere. Per la collettività 
              è in questione non soltanto il dovere di aiutare chi si trova in 
              difficoltà per una causa qualunque, ma l'obbligo di ripagare il 
              sacrificio che taluno si trova a subíre per un beneficio atteso 
              dall'intera collettività. Sarebbe contrario al principio di giustizia, 
              come risultante dall'art. 32 della Costituzione, alla luce del dovere 
              di solidarietà stabilito dall'art. 2, che il soggetto colpito venisse 
              abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o che il danno 
              in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto 
              al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza, 
              ovvero ancora si subordinasse la soddisfazione delle pretese risarcitorie 
              del danneggiato all'esistenza di un comportamento negligente altrui, 
              comportamento che potrebbe mancare. 6. -- Riassumendo con ordine, 
              la menomazione della salute derivante da trattamenti sanitari può 
              determinare una di queste tre conseguenze: a) il diritto al risarcimento 
              pieno del danno, riconosciuto dall'art. 2043 del codice civile, 
              in caso di comportamenti colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo, 
              discendente dall'art. 32 della Costituzione in collegamento con 
              l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato 
              subíto in conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c) 
              il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure 
              di sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito 
              dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali, 
              in tutti gli altri casi. 7. -- L'art. 1 della impugnata legge n. 
              210 del 1992 prevede - secondo il titolo della legge stessa - un 
              "indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di 
              tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni 
              e somministrazione di emoderivati". Le ipotesi ivi previste sono 
              assai varie, dal punto di vista tanto del tipo di danno, quanto 
              dei soggetti indennizzabili. Circa il danno, si tratta di menomazioni 
              permanenti, di qualsiasi tipo, da vaccinazioni obbligatorie, di 
              infezioni da HIV, da somministrazione di sangue e suoi derivati 
              e di epatite post-trasfusionale. Quanto ai soggetti, si tratta, 
              a seconda dei casi, di persone giuridicamente obbligate, semplicemente 
              necessitate o non obbligate al trattamento medico, di persone sottoposte 
              al trattamento o di persone entrate in contatto con soggetti infetti 
              per qualsiasi motivo, ovvero per ragioni attinenti all'esercizio 
              di professioni sanitarie. Questa complessa casistica non si presta 
              a una valutazione unitaria, alla stregua della anzidetta ricapitolazione 
              tripartita. Per questa ragione, le conclusioni cui qui si deve pervenire 
              in ordine al diritto all'indennizzo dei soggetti colpiti, senza 
              colpa di altri, da menomazioni conseguenti a vaccinazione obbligatoria 
              antipoliomielitica non possono ritenersi di per sé estensibili a 
              tutte le altre ipotesi previste dall'art. 1 della legge in questione. 
              8. -- L'ascrivibilità all'anzidetta ipotesi sub b) (v. par. 
              n. 6) della situazione giuridica propria dei soggetti colpiti da 
              menomazione a seguito di vaccinazione antipoliomielitica spiega 
              come questa Corte, con la sentenza n. 307 del 1990, abbia potuto 
              non solo dichiarare l'incostituzionalità della legge 4 febbraio 
              1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica), 
              perché non prevedeva alcuna indennità a carico dello Stato a favore 
              di coloro che avessero subíto conseguenze menomanti la loro salute, 
              ma altresì dichiarare, attraverso l'applicazione diretta della norma 
              costituzionale anche in questo caso, l'esistenza del diritto di 
              costoro a ottenere un equo indennizzo, demandandone al giudice la 
              quantificazione in concreto, fino a quando - si intende - il legislatore 
              non fosse intervenuto in materia. Ciò è avvenuto con la legge n. 
              210 del 1992, la quale ha operato la quantificazione dell'indennizzo 
              e ha precisato le modalità per far valere la pretesa dell'indennizzo 
              medesimo, così dando seguito alla pronuncia della Corte costituzionale, 
              del riferimento alla quale i lavori preparatori portano traccia 
              abbondante. Ma contemporaneamente, l'impugnato art. 2, comma 2, 
              in connessione con l'art. 3, comma 7, ha stabilito una limitazione 
              temporale, che equivale ad una riduzione parziale del danno indennizzabile: 
              limitazione che risulta inammissibile alla stregua della natura 
              del diritto che deve essere riconosciuto ai danneggiati, un diritto 
              - come si è visto - che il legislatore può modellare equitativamente 
              soltanto circa la misura. La disciplina impugnata, per la parte 
              che interessa la presente questione di costituzionalità, pertanto, 
              non soltanto si è posta contro il diritto alla salute sancito dall'art. 
              32 della Costituzione, ma ha altresì contraddetto la sentenza n. 
              307 del 1990 di questa Corte, nella quale il riconoscimento dell'obbligo 
              di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria 
              antipoliomielitica non trovava particolari limitazioni di carattere 
              temporale. La dichiarazione di incostituzionalità che si rende dunque 
              necessaria colpisce le norme impugnate nella parte in cui escludono 
              il diritto a un indennizzo per il tempo anteriore all'entrata in 
              vigore della legge e conduce, come conseguenza, a ripristinare, 
              per quel tempo, la portata della sentenza della Corte costituzionale 
              illegittimamente ridotta. Pertanto, a coloro i quali abbiano subíto 
              un danno da vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, direttamente 
              o anche indirettamente, a causa dell'assistenza personale prestata 
              ai primi - come si ebbe a precisare nella sentenza n. 307 del 1990 
              - spetta, per il danno patito dal momento del manifestarsi dell'evento 
              dannoso fino all'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge, 
              un equo ristoro determinato alla stregua dei criteri indicati dalla 
              predetta decisione di incostituzionalità.  
              
                 PER 
                QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità 
                costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge 
                25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati 
                da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, 
                trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in 
                cui escludono, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento 
                prima dell'entrata in vigore della predetta legge e l'ottenimento 
                della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto 
                - fuori dell'ipotesi dell'art. 2043 del codice civile - a un equo 
                indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a 
                causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti 
                vi si siano sottoposti e da quanti abbiano prestato ai primi assistenza 
                personale diretta.  
              
              Così 
              deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della 
              Consulta, il  |