Associazione per Malati Emotrasfusi e Vaccinati
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SENTENZA N. 27 ANNO 1998

La Corte Costituzionale


ha pronunciato la seguente


Sentenza


nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e dell'art. 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), quest'ultimo come sostituito dall'art. 7 del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, recante interventi per le aree depresse e protette, per manifestazioni sportive internazionali, nonché modifiche alla legge 25 febbraio 1992, n. 210), promossi con ordinanze emesse il 10 ottobre 1996 dal Pretore di Massa, il 5 febbraio 1997 dal Tribunale di Firenze, il 12 giugno 1997 dal Pretore di Trento, rispettivamente iscritte al n. 1294 del registro ordinanze 1996, e ai nn. 174 e 611 del registro ordinanze 1997, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1996 e nn. 15 e 39, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visti gli atti di costituzione di Tavarini Stefania, Brogini Roberto ed altri e Vaia Riccarda, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi l'Avvocato Sergio Grasselli per Tavarini Stefania, Brogini Roberto e altri e Vaia Riccarda e l'Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Massa, il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento sollevano due questioni di legittimità costituzionale sulla disciplina dell'indennizzo a favore di coloro che hanno subìto danni irreversibili in conseguenza di vaccinazione antipoliomielitica.

Il Pretore di Massa e il Pretore di Trento dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui esclude dall'indennizzo coloro che abbiano riportato lesioni o infermità irreversibili, essendosi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l'entrata in vigore della legge 30 luglio 1959, n. 695. Tale esclusione si porrebbe in contrasto, per il Pretore di Massa, con l'art. 3, primo comma, in rapporto agli artt. 2 e 38 della Costituzione, e, per il Pretore di Trento, con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.

Il Tribunale di Firenze e il Pretore di Trento dubitano poi della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992, come sostituito dall'art. 7 del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della legge n. 641 del 1996 medesima, nella parte in cui, per il passato, riducono l'indennizzo del 70 per cento annuo ed escludono il diritto agli interessi e alla rivalutazione dei ratei arretrati maturati e non riscossi. Ritengono i giudici rimettenti che la disciplina menzionata violi gli artt. 2 e 32 della Costituzione, l'art. 38 della Costituzione, primo e terzo comma, e l'art. 136 della Costituzione.

2. - Investendo le tre ordinanze di rimessione aspetti connessi della medesima disciplina, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con la medesima sentenza.

3. - La questione relativa alla mancata previsione dell'indennizzabilità di quanti abbiano subìto lesioni o menomazioni permanenti dell'integrità psico-fisica per essersi sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica a seguito della legge 30 luglio 1959, n. 695, è fondata.

La vaccinazione antipoliomielitica è stata resa obbligatoria con la legge 4 febbraio 1966, n. 51. Essa, insieme alle prescrizioni necessarie per realizzare l'obbiettivo della vaccinazione integrale della popolazione infantile, all'art. 3 stabilisce che le persone esercenti la patria potestà o la tutela sul bambino, ovvero il direttore dell'istituto di pubblica assistenza o l'affidatario nominato dall'istituto medesimo sono tenuti responsabili dell'osservanza dell'obbligo della vaccinazione e che il contravventore incorre in una sanzione penale.

Anteriormente alla legge citata, la legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica) dettava norme per incentivare la pratica della vaccinazione. L'art. 3, primo comma, stabiliva che "per l'ammissione agli asili nido, alle sale di custodia, ai brefotrofi, agli asili infantili, alle scuole materne, alle scuole elementari, ai collegi, alle colonie climatiche ed a qualsiasi altra collettività di bambini, da quattro mesi a sei anni di età, è richiesta all'atto dell'iscrizione o della ammissione la presentazione dell'attestato" di "subìta vaccinazione". Il terzo comma prevedeva peraltro che "l'ammissione è tuttavia consentita qualora sia presentato un certificato medico da cui risultino le ragioni di salute per le quali il bambino non è in grado di subìre la vaccinazione, oppure una dichiarazione, sottoscritta dall'esercente la patria potestà o la tutela, di non voler sottoporre il bambino alla vaccinazione". Da queste disposizioni - seguite da numerosi atti dell'amministrazione sanitaria in tema di approvvigionamento, distribuzione e controllo del vaccino, nonché di informazione, sollecitazione e responsabilizzazione delle famiglie relativamente ai rischi per la salute individuale e collettiva derivanti dalla mancata vaccinazione dei bambini - appare chiaro che, fin dal 1959, era in atto una pressante campagna pubblica di sensibilizzazione e persuasione diffusa. Pur non essendo previsto un obbligo giuridico (come sarà poi, dopo la legge del 1966), la sottrazione dei bambini alla vaccinazione li esponeva a conseguenze discriminatorie di notevole gravità, che potevano essere evitate soltanto ove si fosse adempiuto a un onere di certificazione medica o di dichiarazione di volontà contraria da parte dell'esercente la patria potestà o la tutela.

Con le sent. n. 307 del 1990 e sent. n. 118 del 1996, questa Corte ha riconosciuto l'esistenza di un diritto costituzionale all'indennizzo in caso di danno alla salute patito in conseguenza della sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie. Ora si pone in dubbio la legittimità costituzionale del mancato riconoscimento del medesimo diritto quando il danno sia derivato da vaccinazione che, pur non giuridicamente obbligatoria, era tuttavia programmata e incentivata nel modo che si è detto.

L'estensione così richiesta dai giudici rimettenti si presenta come un'applicazione naturale e necessaria del principio cui si ispirano le sopra indicate decisioni di questa Corte: il principio che non è lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione, richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative.

Non vi è infatti ragione di differenziare, dal punto di vista del principio anzidetto, il caso - allora all'esame - in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello - all'esame ora - in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria.

Una differenziazione che negasse il diritto all'indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione.

4. - La questione relativa alla misura dell'assegno una tantum previsto dall'art. 2 della legge n. 210 del 1992, comma 2, ultima parte, non è invece fondata.

4.1. - Questa Corte, con la sent. n. 307 del 1990, ha riconosciuto che, se il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività ( art. 32 della Costituzione) giustifica l'imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori, esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicché, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi a essi è stato sottoposto, il dovere di solidarietà previsto dall'art. 2 della Costituzione impone alla collettività, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una "equa indennità", fermo restando, ove se ne realizzino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno.

Le conseguenze normative della sent. n. 307 del 1990 sono state tratte dalla legge n. 210 del 1992 che, in generale, ha disciplinato l'indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

L'art. 2, comma 2, della legge n. 210 del 1992 e l'art. 3, comma 7, della legge n. 210 del 1992 sono stati a loro volta dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sent. n. 118 del 1996 poiché e nella parte in cui questi attribuivano alla nuova normativa una portata solo pro futuro, venendo a escludere il diritto all'indennità, in caso di vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso prima dell'entrata in vigore della legge predetta e l'ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge.

In attuazione dell'obbligo così riconosciuto a carico dello Stato anche "pro praeterito", il legislatore è intervenuto a fissare le modalità di calcolo dell'indennizzo, attraverso provvedimenti legislativi destinati a valere negli anni 1995, 1996 e 1997 "in attesa di una nuova e più completa disciplina legislativa". Si tratta, per gli anni 1995 e 1996, dell'art. 6 del decreto legge 1 luglio 1996, n. 344 e dell'art. 7 del decreto legge 30 agosto 1996, n. 450 (il primo decaduto per decorrenza dei termini, il secondo abrogato dall'art. 8 del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, gli effetti dei quali sono stati tuttavia salvati dall'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641) e dell'art. 7 del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641; per l'anno 1997, dell'art. 1 del decreto legge 4 aprile 1997, n. 92 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), decreto non convertito in legge, i cui effetti sono stati tuttavia salvati dall'art. 2 della legge 25 luglio 1997, n. 238, portante il medesimo titolo, e dell'art. 1 della legge n. 238 del 1997 da ultimo menzionata. Con le disposizioni anzidette si prevede che ai soggetti, i quali hanno diritto o ai quali spetta l'indennizzo a norma dell'art. 1 della legge n. 210 del 1992, è corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo previsto dall'art. 2, commi 1 e 2, prima parte, della legge, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell'indennizzo - per così dire - "a regime", con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria.

Relativamente a tali decurtazioni, i giudici rimettenti sollevano questione di costituzionalità, ritenendo che la somma residua risulti irrisoria, la disciplina impugnata ponendosi in tal modo in contraddizione con quanto da questa Corte riconosciuto nelle citate sent. n. 307 del 1990 e sent. n. 118 del 1996. Da qui, la prospettata violazione, da un lato, degli artt. 2, 32 e 38 Cost., primo e terzo comma, e, dall'altro, dell'art. 136 della Costituzione.

4.2. - Deve preliminarmente essere osservato che alla Corte Costituzionale non è dato sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle che spettano e sono riservate al legislatore nelle determinazioni volte a predisporre i mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni dello Stato nella materia dei cosiddetti diritti sociali. Solo il legislatore è, infatti, costituzionalmente abilitato a compiere gli apprezzamenti necessari a comporre nell'equilibrio del bilancio le scelte di compatibilità e di relativa priorità nelle quali si sostanziano le politiche sociali dello Stato.

Nel rispetto dell'ampia discrezionalità che deve essere riconosciuta al legislatore, a questa Corte, nell'esercizio del controllo di costituzionalità sulle leggi, compete tuttavia di garantire la misura minima essenziale di protezione delle situazioni soggettive che la Costituzione qualifica come diritti, misura minima al di sotto della quale si determinerebbe, con l'elusione dei precetti costituzionali, la violazione di tali diritti.

Alla stregua delle proposizioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso in esame, la determinazione legislativa di ciò che ha da essere l'indennizzo "equo", in relazione e nei limiti delle possibilità della situazione data, potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo in quanto esso risultasse tanto esiguo da vanificare, riducendolo a un nome privo di concreto contenuto, il diritto all'indennizzo stesso, diritto che, dal punto di vista costituzionale, è stabilito nell'"an" ma non nel "quantum". Ma ciò, pur in presenza della drastica riduzione operata rispetto alla misura prevista dalla legge per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, ad avviso di questa Corte non può affermarsi, anche tenendo conto della natura e della finalità di tale indennizzo.

Ciò che conta, nel giudizio cui la Corte è chiamata, non è la percentuale della riduzione, ma l'entità in sé della somma che ne risulta. La sua valutazione in termini di legittimità costituzionale deve tener conto che l'assegno una tantum previsto dalla legge assume il significato di misura di solidarietà sociale, cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell'art. 38, primo comma, della Costituzione. Esso è infatti dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell'avente diritto e non mira di per sé agli scopi per i quali l'art. 38 stesso è stato dettato, aggiungendosi agli altri eventuali emolumenti a qualsiasi titolo percepiti, e quindi anche a quelli di natura propriamente assistenziale, in ipotesi dovuti anche in ragione dell'inabilità al lavoro derivante dal danno subìto in conseguenza del trattamento sanitario (art. 2 della legge n. 210 del 1992, comma 1, seconda parte).

Il fondamento della misura indennitaria in questione negli artt. 2 e 32 della Costituzione e non nel diritto previsto dall'art. 38 della Costituzione (sent. n. 118 del 1996), e quindi non nelle esigenze di vita e di assistenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, vale a ulteriormente sottolineare l'ambito delle scelte discrezionali entro il quale il legislatore è in questo caso abilitato a operare. In tale ambito, la stessa differenziazione del regime di determinazione dell'indennità per il passato, rispetto a quello per il futuro, può trovare giustificazione alla stregua delle valutazioni, spettanti al legislatore, circa le conseguenze di ordine finanziario derivanti dalle misure predisposte.

Per le stesse ragioni, neppure la censura relativa all'esclusione del diritto alla rivalutazione e agli interessi può essere accolta. Per quanto riguarda il periodo anteriore all'ottenimento dell'indennizzo previsto dal comma 1 dell'art. 2 della legge n. 210 del 1992, il legislatore ha optato per il riconoscimento del diritto alla corresponsione di una somma di danaro "una tantum", sia pure calcolata tenendo conto degli anni di durata di tale periodo. In altre parole, secondo una scelta di per sé - nella specie - non irragionevole, ha considerato il diritto alla percezione della somma indennitaria in modo unitario, nel momento in cui la quantificazione legislativa l'ha reso esigibile. In mancanza, non si sarebbe del resto neppure potuto correttamente parlare di "mora debendi", condizione che in generale giustifica il diritto alla percezione degli accessori della somma dovuta a titolo principale.

Per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica);

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, come sostituito dall'art. 7 del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 641, e dell'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1996, n. 641 predetta, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 32 e 38 della Costituzione, primo e terzo comma, e all'art. 136 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze e dal Pretore di Trento con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.