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Corte Costituzionale

Sentenza 30 giugno - 11 luglio 2003

233/2003

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Oggetto.

N.233 Sentenza 11 luglio 2003.

Art. 2059 Codice Civile e Art. 185 Codice Penale - Risarcibilità danno non
patrimoniale anche in caso di colpa dell'autore risultante da presunzione
di legge

Nella Sentenza.

L?art. 2059 cod. civ. deve essere interpretato nel senso che il danno non
patrimoniale, in quanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è risarcibile
anche nell?ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell?autore del fatto
risulti da una presunzione di legge.

Il riferimento al «reato» contenuto nell?art. 185 cod. pen., in coerenza
con la diversa funzione assolta dalla norma impugnata, non postula più,
come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta fattispecie
di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente nella sua oggettività
all?astratta previsione di una figura di reato. Con la conseguente possibilità
che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione
di legge.

Del resto, è significativo come la stessa giurisprudenza di legittimità
abbia affermato, in relazione al reato commesso da persona non imputabile,
che la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell?art. 2059 cod.
civ., in relazione all?art. 185 cod. pen., non richiede che il fatto illecito
integri in concreto un reato punibile per il concorso di tutti gli elementi
a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto
stesso sia astrattamente preveduto dalla legge come reato.

Sicché può dirsi che, anche sotto l?aspetto della complessiva coerenza del
sistema, la tesi che alla parola «reato» attribuisce il significato di fatto
(solo) astrattamente previsto come tale dalla legge risulta certamente non
estranea alla stessa giurisprudenza, pur richiamata dal rimettente a sostegno
della contraria opinione.

Può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il
danno non patrimoniale riguardato dall?art. 2059 cod. civ. si identificherebbe
con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce
(Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l?indubbio pregio di
ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela
risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza
di argomentazioni ? nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale
e di quello non patrimoniale ? un?interpretazione costituzionalmente orientata
dell?art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell?astratta previsione
della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di
valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso
come transeunte turbamento dello stato d?animo della vittima; sia il danno
biologico in senso stretto, inteso come lesione dell?interesse, costituzionalmente
garantito, all?integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad
un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito
in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione
di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

Per quanto specificamente riguarda il tema ? che qui ci occupa - della risarcibilità
del danno non patrimoniale in caso di colpa presunta, altre, anch?esse recentissime,
sentenze del giudice di legittimità, muovendo dalla «sempre più avvertita
esigenza di garantire l?integrale riparazione del danno ingiustamente subito
(...) nei valori propri della persona, anche in riferimento all?art. 2 Cost.»,
sono giunte all?enunciazione di un principio di diritto perfettamente coerente
con le considerazioni sin qui svolte. Si afferma, infatti, in tali pronunce
che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ.
e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell?autore
del danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 cod. civ.,
«debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo
la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato» (Cass., 12 maggio 2003,
nn. 7281 e 7282).

Sentenza.

Presidente Chieppa - Relatore Marini

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell?art. 2059 del codice civile,
promosso con ordinanza del 20 giugno 2002 dal Tribunale di Roma nel procedimento
civile vertente tra Manetti Luciano ed altri contro Ingretolli Daniela ed
altri, iscritta al n. 60 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell?anno
2003.

Visto l?atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Annibale
Marini.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale di Roma, con ordinanza dell?11 maggio 2002, depositata
il 20 giugno 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell?art. 2059 cod. civ.

In punto di rilevanza, il rimettente espone di doversi pronunciare su domande
di risarcimento del danno morale avanzate dagli eredi di persone decedute
in un sinistro stradale nei confronti dei conducenti dei veicoli coinvolti
nel sinistro stesso. Aggiunge che nessuna delle parti è riuscita a superare
la presunzione di colpa in pari misura concorrente posta a carico di ciascuno
dei conducenti dall?art. 2054, secondo comma, cod. civ., cosicché le suddette
domande risarcitorie dovrebbero essere respinte, stante la limitazione posta
dall?art. 2059 cod. civ., dovendo ? per diritto vivente ? escludersi la
risarcibilità, ex art. 185 cod. pen., del danno morale nel caso in cui la
responsabilità dell?autore del fatto illecito, pur astrattamente costituente
reato, sia accertata in base ad una presunzione di legge e non in base all?oggettiva
ricostruzione del fatto.

La previsione di risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi
previsti dalla legge, contenuta nella norma impugnata, sarebbe tuttavia
lesiva del diritto fondamentale dell?individuo alla serenità morale, tutelato
dall?art. 2 Cost., oltre ad essere fonte di inique ed ingiustificate disparità
di trattamento, tali da violare il principio di eguaglianza. Sotto altro
aspetto, essa avrebbe prodotto ? per effetto di orientamenti giurisprudenziali
nel tempo consolidatisi ? ingiustificate duplicazioni risarcitorie, contrastanti
con l?art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, rispetto al tertium
comparationis rappresentato dall?art. 2043 cod. civ.

Con riguardo al primo dei profili considerati, il rimettente osserva che
la norma impugnata si fonderebbe, in definitiva, sull?assunto secondo cui
i diritti della personalità non costituiscono elementi del patrimonio del
titolare e la loro lesione non darebbe perciò luogo a risarcimento.

Siffatto assunto non potrebbe tuttavia trovare cittadinanza nell?ordinamento
costituzionale, posto che tutti i diritti della personalità, nessuno escluso,
ricevono tutela dagli artt. 2 e 3 Cost., come è del resto riconosciuto sia
dalla giurisprudenza di legittimità e di merito sia dalla migliore dottrina.
Né, d?altro canto, potrebbe sostenersi che la sofferenza morale causata
dalla perdita di un prossimo congiunto non sia tutelata da alcun precetto
costituzionale e quindi ? non costituendo un diritto della personalità ?
non possa essere risarcita se non nei limiti stabiliti dall?art. 2059 cod.
civ.

L?assurdità di una simile tesi, sul piano giuridico, risulterebbe ? secondo
il rimettente - palese ove si consideri che, secondo l?orientamento prevalente
della dottrina, della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale,
l?art. 2 Cost. sancisce il valore assoluto della persona umana ed è norma
a contenuto precettivo e non programmatico, cosicché ogni proiezione della
persona nella realtà sociale sarebbe suscettibile di assurgere al rango
di diritto soggettivo perfetto, con la conseguente configurabilità di una
tutela risarcitoria in caso di lesione.

Non potendo dubitarsi che la famiglia sia una delle formazioni sociali nelle
quali l?individuo esplica la propria personalità e che i vincoli famigliari
costituiscano proiezione della persona nella realtà sociale, ne discenderebbe
che i suddetti vincoli costituiscono, ex art. 2 Cost., oggetto di un diritto
soggettivo perfetto. L?art. 2059 cod. civ., impedendone la risarcibilità
in caso di lesione, salvo i casi previsti dalla legge, violerebbe perciò
tanto l?art. 2 Cost., frustrando un diritto fondamentale, quanto l?art.
3, con riguardo al principio di eguaglianza, differenziando ingiustamente
la situazione di chi perde un congiunto in conseguenza di un illecito accertato
e quella di chi invece lo perde in conseguenza di un illecito presunto ex
art. 2054 cod. civ.

La norma impugnata, d?altro canto, non sarebbe - ad avviso del rimettente
? suscettibile di una lettura costituzionalmente orientata, così da superare
il prospettato dubbio di legittimità con riferimento al canone di ragionevolezza.

In particolare, non ritiene il giudice a quo di poter condividere la tesi
secondo la quale la lesione di un diritto costituzionalmente protetto sarebbe
comunque risarcibile, nonostante il tenore dell?art. 2059, in base al combinato
disposto dell?art. 2043 e della norma costituzionale di volta in volta violata.

In primo luogo, tale orientamento si fonda sull?assunto che l?art. 2043
sia una norma in bianco, ma siffatto assunto è stato ormai abbandonato dalla
giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n.
500 del 1999, nella quale il danno risarcibile è espressamente definito
come la lesione dell?interesse al bene della vita al quale l?interesse leso,
secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega.
In tale ottica la risarcibilità discende dunque dal fatto che l?interesse
leso sia rilevante per l?ordinamento, a prescindere dall?esistenza di una
garanzia costituzionale, e non vi è dubbio ? ad avviso sempre del giudice
a quo ? che l?interesse alla propria serenità morale sia preso in considerazione,
sotto molti aspetti, dall?ordinamento.

Secondariamente, la tesi cosiddetta «del combinato disposto» condurrebbe
a svuotare l?art. 2059 cod. civ. di ogni contenuto, atteso che qualsiasi
danno morale potrebbe astrattamente ricondursi alla lesione di un diritto
costituzionalmente protetto. Ma tra una interpretatio abrogans conforme
a Costituzione ed una interpretatio utilis con questa contrastante l?interprete
? secondo il rimettente - dovrebbe necessariamente scegliere la seconda.

L?orientamento ermeneutico in esame porterebbe, infine, ad una irragionevole
duplicazione di risarcimento nel caso in cui il fatto illecito integri gli
estremi di un reato: in tal caso, infatti, il danneggiato potrebbe agire
sia per il risarcimento del danno ingiusto, in base al combinato disposto
degli artt. 2 Cost. e 2043 cod. civ., sia per il risarcimento del danno
morale in base all?art. 2059 cod. civ.

In via dichiaratamente subordinata, il rimettente solleva poi, in riferimento
all?art. 3 Cost., una diversa questione di legittimità costituzionale della
stessa norma, nella parte in cui non consente la liquidazione del danno
non patrimoniale nei casi in cui la responsabilità dell?offensore venga
affermata ? come è nel giudizio a quo - in base ad una presunzione di legge.

Il rimettente muove dalla considerazione che siffatta lettura della norma,
costituente diritto vivente, nacque in un?epoca storica nella quale, vigendo
l?art. 3 cod. proc. pen. del 1930, l?accertamento dell?illecito in sede
civile era necessariamente subordinato all?accertamento del reato in sede
penale.

L?irrisarcibilità del danno morale in caso di responsabilità presunta, quale
conseguenza dell?inesistenza del reato affermata in sede penale, discenderebbe
pertanto dalla preminenza logica della giurisdizione penale rispetto a quella
civile.

La situazione sarebbe radicalmente mutata a seguito dell?introduzione del
nuovo art. 75 cod. proc. pen., per effetto del quale l?azione risarcitoria
in sede civile può avere uno svolgimento del tutto autonomo, ed un esito
anche contrastante, rispetto all?eventuale azione penale che sia promossa
per lo stesso fatto.

La norma impugnata si porrebbe pertanto in contrasto con l?art. 3 Cost.
in quanto - «in modo irrazionale rispetto al dettato dell?art. 75 cod. proc.
pen., considerato quale tertium comparationis» - nonostante la conclamata
parità delle giurisdizioni, precluderebbe al danneggiato che agisca in sede
civile ai fini del risarcimento del danno morale «di avvalersi di uno dei
mezzi di prova più tipici e risalenti del processo civile, cioè la presunzione».


2.- E? intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall?Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la declaratoria di non fondatezza della questione.

Ad avviso della parte pubblica, il senso della norma impugnata sarebbe quello
non di negare il riconoscimento dei diritti della personalità tutelati dagli
artt. 2 e 3 Cost., ma di limitare un profilo risarcitorio privo ? per la
particolare natura di quei diritti - di effettiva idoneità ripristinatoria
della perdita subita.

La norma troverebbe in definitiva la propria giustificazione nell?esigenza
? pur essa frutto di civiltà giuridica - di evitare che il debitore si trovi
assoggettato ad un carico risarcitorio sproporzionato rispetto all?entità
del fatto illecito, tanto più che, una volta ammessa la piena risarcibilità
del danno morale, sarebbe difficile giustificare la limitazione della tutela
risarcitoria ? in una fattispecie come quella sottoposta all?esame del giudice
a quo - ai soli congiunti e non anche ad altri soggetti legati alle vittime
del sinistro da rapporti di diversa natura.

La scelta operata dal legislatore sarebbe dunque frutto di una valutazione
non solo ampiamente discrezionale ma altresì riconducibile ad un sistema
complessivo, «non suscettibile di riscrittura attraverso una mera pronuncia
abrogativa».

Legando la possibilità del risarcimento alla natura penale dell?illecito,
l?ordinamento avrebbe inteso, non irragionevolmente, attribuire valore
differenziale,
tenuto conto della specialità di questo tipo di danni, alla natura della
condotta anziché a quella dell?evento.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Roma ? chiamato a pronunciarsi su domande di risarcimento
del danno morale avanzate dai prossimi congiunti di persone decedute in
un incidente automobilistico, nei confronti dei conducenti dei veicoli coinvolti,
la cui responsabilità discende, secondo lo stesso giudice, esclusivamente
dalla presunzione di cui all?art. 2054, secondo comma, cod. civ. ? solleva
due diverse questioni di legittimità costituzionale dell?art. 2059 cod.
civ.

La prima, che il rimettente qualifica come principale, ha ad oggetto ? con
riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. ? la previsione di risarcibilità del
danno non patrimoniale «solo nei casi determinati dalla legge».

Siffatta limitazione risarcitoria sarebbe ? ad avviso del rimettente ? lesiva
del diritto fondamentale dell?individuo alla serenità morale, tutelato dall?art.
2 Cost., nonché fonte di ingiustificate disparità di trattamento tra danneggiati.
Avrebbe inoltre dato causa ? per effetto di orientamenti giurisprudenziali
nel tempo consolidatisi ? ad ingiustificate duplicazioni risarcitorie, contrastanti
con l?art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.

La seconda questione, indicata come subordinata, riguarda invece, con riferimento
all?art. 3 Cost., la medesima norma nella parte in cui escluderebbe la risarcibilità
del danno non patrimoniale allorché la responsabilità dell?autore del fatto,
corrispondente ad una fattispecie astratta di reato, venga affermata ? come
appunto nel caso di specie - in base ad una presunzione di legge.

Siffatta esclusione si porrebbe in irragionevole contrasto con il principio
di parità delle giurisdizioni civile e penale, proclamato dall?art. 75 cod.
proc. pen., precludendo al danneggiato che agisca in sede civile ai fini
del risarcimento del danno non patrimoniale di avvalersi di un mezzo di
prova tipico del processo civile, quale la presunzione.

Presupposto interpretativo comune ad entrambe le questioni è quello ? certamente
non implausibile ? secondo cui l?ambito di applicazione dell?art. 2059 cod.
civ. copre l?intera area del danno non patrimoniale, restando perciò preclusa
al giudicante la possibilità di risarcire il pregiudizio alla serenità morale,
derivante dalla perdita di un congiunto per fatto illecito altrui, mediante
il ricorso all?art. 2043 cod. civ., in combinato disposto con l?art. 2 Cost.


2.- Una corretta valutazione del rapporto di pregiudizialità tra le questioni
oggetto del presente giudizio porta ad invertire l?ordine di trattazione
seguito dal rimettente, esaminando prioritariamente la questione sollevata,
nell?ordinanza, in via subordinata.

Il rimettente infatti, in relazione ad una domanda di risarcimento del danno
morale derivato agli attori dalla morte di congiunti in uno scontro tra
veicoli provocato da fatto illecito altrui, ritiene di non poter accertare
concretamente l?elemento soggettivo del dolo o della colpa dell?autore dell?illecito
e di dover quindi ricorrere alla presunzione di pari responsabilità dei
conducenti dei veicoli, posta dall?art. 2054, secondo comma, cod. civ. Pertanto
il dubbio di costituzionalità da lui sollevato in ordine all?art. 2059 cod.
civ., nella parte relativa alla limitazione della risarcibilità del danno
non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge (tra i quali rientra
quello del danno derivante da reato, ai sensi dell?art. 185 cod. pen.) in
tanto può ritenersi rilevante in quanto si assuma l?esclusione di tale risarcibilità
nelle ipotesi in cui il ricordato elemento soggettivo discenda da una presunzione
di legge.

Ma poiché il rimettente dubita (anche) della legittimità costituzionale
dell?art. 2059 cod. civ. proprio sotto questo specifico profilo, è evidente
come la relativa questione sia preliminare all?altra, prospettata come principale.


3.- La questione individuata come logicamente preliminare deve essere dichiarata
non fondata nei sensi di cui in motivazione.

3.1.- Il rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalità muove dalla
ritenuta necessità, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale,
dell?accertamento in concreto di un reato e, quindi, anche dell?elemento
soggettivo del dolo o della colpa.

Ma è proprio una interpretazione siffatta, assunta in termini di diritto
vivente, a risultare del tutto dissonante rispetto alla ratio della norma
impugnata, quale si desume dalla evoluzione legislativa e giurisprudenziale
verificatasi in materia.

3.2. ? Non vi è dubbio che l?art. 2059 cod. civ., stabilendo che il danno
non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge,
circoscriveva originariamente la risarcibilità all?ipotesi, contemplata
dall?art. 185 cod. pen., del danno non patrimoniale derivante da reato,
e le conferiva un carattere sanzionatorio, reso manifesto, tra l?altro,
dalla stessa relazione al codice civile, secondo la quale «soltanto nel
caso di reato è più intensa l?offesa all?ordine giuridico e maggiormente
sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo».

Coerentemente a ciò, si riteneva, poi, che il riferimento al reato, contenuto
nell?art. 185 cod. pen., dovesse essere inteso nel senso della ricorrenza
in concreto di una fattispecie criminosa in tutti i suoi elementi costitutivi,
anche di carattere soggettivo. Con la conseguente inoperatività, in tale
ambito, della presunzione di legge destinata a supplire la prova, in ipotesi
mancante, della colpa dell?autore della fattispecie criminosa.

3.3.- L?indirizzo interpretativo riassuntivamente esposto risulta, tuttavia,
destinato ad entrare in crisi per effetto della richiamata evoluzione sull?area
di risarcibilità del danno non patrimoniale.

Da un lato, infatti, il legislatore ha introdotto ulteriori casi di risarcibilità
del danno non patrimoniale estranei alla materia penale, riguardo ai quali
è del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze di carattere
repressivo (si pensi, ad esempio, alle azioni di responsabilità previste
dall?art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, per i danni derivanti da
ingiusta privazione della libertà personale nell?esercizio di funzioni giudiziarie;
dall?art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per i danni derivanti dal
mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).

Dall?altro, la giurisprudenza ? sia pure muovendosi nell?ambito di operatività
dell?art. 2043 cod. civ., nel corso di un travagliato itinerario interpretativo
nel quale questa Corte è ripetutamente intervenuta - ha da tempo individuato
ulteriori ipotesi di danni sostanzialmente non patrimoniali, derivanti dalla
lesione di interessi costituzionalmente garantiti, risarcibili a prescindere
dalla configurabilità di un reato (in primis il cosiddetto danno biologico).
Il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal modo a realizzare
ha fatto assumere all?art. 2059 cod. civ. una funzione non più sanzionatoria,
ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

Su tale base, pertanto, anche il riferimento al «reato» contenuto nell?art.
185 cod. pen., in coerenza con la diversa funzione assolta dalla norma impugnata,
non postula più, come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta
fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente nella sua
oggettività all?astratta previsione di una figura di reato. Con la conseguente
possibilità che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta per effetto
di una presunzione di legge.

Del resto, è significativo come la stessa giurisprudenza di legittimità
abbia affermato, in relazione al reato commesso da persona non imputabile,
che la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell?art. 2059 cod.
civ., in relazione all?art. 185 cod. pen., non richiede che il fatto illecito
integri in concreto un reato punibile per il concorso di tutti gli elementi
a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto
stesso sia astrattamente preveduto dalla legge come reato.

Sicché può dirsi che, anche sotto l?aspetto della complessiva coerenza del
sistema, la tesi che alla parola «reato» attribuisce il significato di fatto
(solo) astrattamente previsto come tale dalla legge risulta certamente non
estranea alla stessa giurisprudenza, pur richiamata dal rimettente a sostegno
della contraria opinione.

Né, d?altro canto, potrebbe ancora invocarsi, quale argomento a favore della
tesi opposta, una asserita prevalenza della giurisdizione penale rispetto
a quella civile.

L?art. 75 cod. proc. pen. ha definitivamente consacrato il principio di
parità delle giurisdizioni, cosicché perfino la possibilità di giudicati
contrastanti in relazione al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e
penali, costituisce evenienza da considerarsi ormai fisiologica.

3.4.- Occorre da ultimo considerare che l?indirizzo interpretativo assunto
dal rimettente come diritto vivente risulta disatteso, successivamente all?ordinanza
di rimessione, dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

Giova al riguardo premettere ? pur trattandosi di un profilo solo indirettamente
collegato alla questione in esame ? che può dirsi ormai superata la tradizionale
affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall?art.
2059 cod. civ. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo.
In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che
hanno l?indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato
capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti,
prospettata, con ricchezza di argomentazioni ? nel quadro di un sistema
bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale ? un?interpretazione
costituzionalmente orientata dell?art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere
nell?astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno
morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d?animo
della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione
dell?interesse, costituzionalmente garantito, all?integrità psichica e fisica
della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia
infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale)
derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti
alla persona.

Per quanto specificamente riguarda il tema ? che qui ci occupa - della risarcibilità
del danno non patrimoniale in caso di colpa presunta, altre, anch?esse recentissime,
sentenze del giudice di legittimità, muovendo dalla «sempre più avvertita
esigenza di garantire l?integrale riparazione del danno ingiustamente subito
(...) nei valori propri della persona, anche in riferimento all?art. 2 Cost.»,
sono giunte all?enunciazione di un principio di diritto perfettamente coerente
con le considerazioni sin qui svolte. Si afferma, infatti, in tali pronunce
che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ.
e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell?autore
del danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 cod. civ.,
«debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo
la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato» (Cass., 12 maggio 2003,
nn. 7281 e 7282).

Sicché, nessun ostacolo sussiste, neppure sotto l?aspetto di un contrario
diritto vivente, all?accoglimento di una interpretazione opposta a quella
da cui muove il rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalità.

3.5.- Conclusivamente, l?art. 2059 cod. civ. deve essere interpretato nel
senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito alla astratta fattispecie
di reato, è risarcibile anche nell?ipotesi in cui, in sede civile, la colpa
dell?autore del fatto risulti da una presunzione di legge.

Resta in tal modo superato il dubbio di legittimità costituzionale originato
da una contraria lettura della norma, mentre la concreta possibilità di
una tutela risarcitoria dei danneggiati nel giudizio principale rende evidentemente
priva di rilevanza e, pertanto, inammissibile l?ulteriore questione di legittimità
costituzionale dell?art. 2059 cod. civ., prospettata dal medesimo rimettente
in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. e diretta a censurare la limitazione
della risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi stabiliti dalla
legge.

per questi motivi la Corte Costituzionale

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell?art. 2059 del codice civile sollevata, in riferimento
all?art. 3 Cost., dal Tribunale di Roma con l?ordinanza in epigrafe;

dichiara inammissibile l?ulteriore questione di legittimità costituzionale
della medesima norma, sollevata dallo stesso rimettente in riferimento agli
artt. 2 e 3 Cost.